L’alibi Perfetto

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L’alibi Perfetto
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l’ a l i b i   p e r f e t t o
(un emozionante thriller psicologico di jessie hunt—libro 8)
b l a k e   p i e r c e
edizione italiana
a cura di
Annalisa Lovat
Blake Pierce

Blake Pierce è l’autore statunitense oggi campione d’incassi della serie thriller RILEY PAGE, che include diciassette. Blake Pierce è anche l’autore della serie mistery MACKENZIE WHITE che comprende quattordici libri; della serie mistery AVERY BLACK che comprende sei libri;  della serie mistery KERI LOCKE che comprende cinque libri; della serie mistery GLI INIZI DI RILEY PAIGE che comprende cinque libri; della serie mistery KATE WISE che comprende sette libri; dell’emozionante mistery psicologico CHLOE FINE che comprende sei libri; dell’emozionante serie thriller psicologico JESSE HUNT che comprende sette libri (e altri in arrivo); della seria thriller psicologico RAGAZZA ALLA PARI, che comprende tre libri (e altri in arrivo); della serie mistery ZOE PRIME, che comprende tre libri (e altri in arrivo); della nuova seria thriller ADELE SHARP e della nuova serio di gialli VIAGGIO IN EUROPA.

Un avido lettore e da sempre amante dei generi mistery e thriller, Blake ama avere vostre notizie, quindi sentitevi liberi di visitare il suo sito www.blakepierceauthor.com per saperne di più e restare informati.


Copyright © 2020 di Blake Pierce. Tutti i diritti riservati. A eccezione di quanto consentito dall’U.S. Copyright Act del 1976, nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, distribuitao trasmessa in alcuna forma o in alcun modo, o archiviata in un database o in un sistema di raccolta, senza previa autorizzazione dell’autore. Questo ebook è concesso in licenza esclusivamente ad uso ludico personale. Questo ebook non può essere rivenduto né ceduto ad altre persone. Se desidera condividere questo libro con un'altra persona, la preghiamo di acquistare una copia aggiuntiva per ogni beneficiario. Se sta leggendo questo libro e non l’ha acquistato, o non è stato acquistato esclusivamente per il suo personale uso, la preghiamo di restituirlo e di acquistare la sua copia personale. La ringraziamo per il suo rispetto verso il duro lavoro svolto da questo autore. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, imprese, organizzazioni, luoghi, eventi e incidenti sono il prodotto della fantasia dell’autore o sono usati romanzescamente. Qualsiasi somiglianza con persone reali, vive o morte, è del tutto casuale. Immagine di copertina Copyright JakubD, utilizzata sotto licenza da Shutterstock.com.

LIBRI DI BLAKE PIERCE

LA SERIE THRILLER DI ADELE SHARP

NON RESTA CHE MORIRE (Libro #1)

NON RESTA CHE SCAPPARE (Libro #2)

NON RESTA CHE NASCONDERSI (Libro #3)

THRILLER DI ZOE PRIME

IL VOLTO DELLA MORTE (Libro #1)

IL VOLTO DELL’OMICIDIO (Libro #2)

IL VOLTO DELLA PAURA (Libro #3)

LA RAGAZZA ALLA PARI

QUASI SCOMPARSA (Libro #1)

QUASI PERDUTA (Libro #2)

QUASI MORTA (Libro #3)

I THRILLER PSICOLOGICI DI JESSIE HUNT

LA MOGLIE PERFETTA (Libro #1)

IL QUARTIERE PERFETTO (Libro #2)

LA CASA PERFETTA (Libro #3)

IL SORRISO PERFETTO (Libro #4)

LA BUGIA PERFETTA (Libro #5)

IL LOOK PERFETTO (Libro #6)

LA TRESCA PERFETTA (Libro #7)

L’ALIBI PERFETTO (Libro #8)

I GIALLI PSICOLOGICI DI CHLOE FINE

LA PORTA ACCANTO (Libro #1)

LA BUGIA DI UN VICINO (Libro #2)

VICOLO CIECO (Libro #3)

UN VICINO SILENZIOSO (Libro #4)

RITORNA A CASA (Libro #5)

FINESTRE OSCURATE (Libro #6)

I GIALLI DI KATE WISE

SE LEI SAPESSE (Libro #1)

SE LEI VEDESSE (Libro #2)

SE LEI SCAPPASSE (Libro #3)

SE LEI SI NASCONDESSE (Libro #4)

SE FOSSE FUGGITA (Libro #5)

SE LEI TEMESSE (Libro #6)

SE LEI UDISSE (Libro #7)

GLI INIZI DI RILEY PAIGE

LA PRIMA CACCIA (Libro #1)

IL KILLER PAGLIACCIO (Libro #2)

ADESCAMENTO (Libro #3)

CATTURA (Libro #4)

PERSECUZIONE (Libro #5)

FOLGORAZIONE (Libro #6)

I MISTERI DI RILEY PAIGE

IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1)

IL SUSSURRATORE DELLE CATENE (Libro #2)

OSCURITA’ PERVERSA (Libro #3)

IL KILLER DELL’OROLOGIO (Libro #4)

KILLER PER CASO (Libro #5)

CORSA CONTRO LA FOLLIA (Libro #6)

MORTE AL COLLEGE (Libro #7)

UN CASO IRRISOLTO (Libro #8)

UN KILLER TRA I SOLDATI (Libro #9)

IN CERCA DI VENDETTA (Libro #10)

LA CLESSIDRA DEL KILLER (Libro #11)

MORTE SUI BINARI (Libro #12)

MARITI NEL MIRINO (Libro #13)

IL RISVEGLIO DEL KILLER (Libro #14)

IL TESTIMONE SILENZIOSO (Libro #15)

OMICIDI CASUALI (Libro #16)

IL KILLER DI HALLOWEEN (Libro #17)

UN RACCONTO BREVE DI RILEY PAIGE
UNA LEZIONE TORMENTATA

I MISTERI DI MACKENZIE WHITE

PRIMA CHE UCCIDA (Libro #1)

UNA NUOVA CHANCE (Libro #2)

PRIMA CHE BRAMI (Libro #3)

PRIMA CHE PRENDA (Libro #4)

PRIMA CHE ABBIA BISOGNO (Libro #5)

PRIMA CHE SENTA (Libro #6)

PRIMA CHE COMMETTA PECCATO (Libro #7)

PRIMA CHE DIA LA CACCIA (Libro #8)

PRIMA CHE AFFERRI LA PREDA (Libro #9)

PRIMA CHE ANELI (Libro #10)

PRIMA CHE FUGGA (Libro #11)

PRIMA CHE INVIDI (Libro #12)

PRIMA CHE INSEGUA (Libro #13)

PRIMA CHE FACCIA DEL MALE (Libro #14)

I MISTERI DI AVERY BLACK

UNA RAGIONE PER UCCIDERE (Libro #1)

UNA RAGIONE PER SCAPPARE (Libro #2)

UNA RAGIONE PER NASCONDERSI (Libro #3)

UNA RAGIONE PER TEMERE (Libro #4)

UNA RAGIONE PER SALVARSI (Libro #5)

UNA RAGIONE PER MORIRE (Libro #6)

I MISTERI DI KERI LOCKE

TRACCE DI MORTE (Libro #1)

TRACCE DI OMICIDIO (Libro #2)

TRACCE DI PECCATO (Libro #3)

TRACCE DI CRIMINE (Libro #4)

TRACCE DI SPERANZA (Libro #5)

CAPITOLO UNO

Caroline Gidley se ne stava rannicchiata, con le ginocchia strette al petto per scaldarsi. Anche se ormai era primavera inoltrata, sentiva fresco di notte, soprattutto nelle sue condizioni.

Era una follia che lei ci potesse pensare come a delle mere ‘condizioni’. Ma dopo quattro giorni legata in una gabbia per cani, con indosso solo mutandine e reggiseno, con una misera coperta sottile a coprirla, questa cosa era diventata ormai quasi normale per lei.

Era iniziato tutto così innocentemente.  Stava andando alla macchina dopo aver staccato al lavoro, quando un uomo le aveva chiesto le indicazioni per l’autostrada. Si trovavano in un trafficato parcheggio pubblico e lui era così esitante e insospettabile quando l’aveva avvicinata, che lei aveva presto abbassato la guardia. Aveva poi iniziato a rispondergli, voltandosi e indicando verso est.

Prima di rendersi conto che stava succedendo, lui le era addosso. Le aveva coperto bocca e naso con uno spesso pezzo di stoffa. Poco prima di perdere conoscenza, lo aveva visto aprire il bagagliaio dell’auto accanto alla sua. Le era passato per la testa un ultimo pensiero mentre lui ce la spingeva dentro e richiudeva il portello.

Ha parcheggiato proprio accanto a me. aveva programmato tutto.

Quando si era svegliata, si era ritrovata nella gabbia, solo con la biancheria intima addosso, le mani legate davanti a sé con una spessa corda elastica. Si era guardata attorno e si era resa subito conto di trovarsi prigioniera in una specie di edificio cadente. C’erano dei cavi che penzolavano dal soffitto e alcune finestre erano chiuse. Non c’era luce all’interno e i deboli raggi del sole le suggerivano che era stata catturata da diverse ore.

Neanche l’avesse chiamato con il pensiero, l’uomo era entrato da una grossa porta in metallo. Il cuore aveva iniziato a batterle forte in petto, tanto che pensava potesse sentirlo anche lui. La sua paura era quasi palpabile. Cercò però di scansare quel pensiero e di concentrarsi sul suo rapitore.

Mentre le si avvicinava, aveva notato diversi dettagli che le erano sfuggiti di primo acchito, nel loro breve incontro. Indossava evidentemente una parrucca. I suoi folti capelli scuri le ricordavano un cantante heavy metal degli anni Ottanta. La sua barba selvaggia era quasi sicuramente finta. E di certo lo era anche il grosso naso stuccoso che portava. Caroline dubitava addirittura che l’uomo avesse effettivo bisogno degli occhiali sfumati dalla spessa montatura che indossava.

Quando le fu vicino, le sorrise e lei poté notare che anche i denti erano finti. Il suo travestimento era così esagerato da farle sospettare che il suo vero intento fosse proprio di apparire ridicolo.

“Ciao, Caroline,” le aveva detto, con una pronuncia un po’ blesa che lei sospettò essere dovuta ai denti finti. “Questa è l’unica volta che mi vedrai. Da ora in poi sarai bendata. Non ti ho imbavagliata, ma lo farò se ne sarò costretto. Se in qualsiasi momento tenti di levarti la benda dagli occhi, ti legherò le mani dietro alla schiena invece che davanti. Se tenti di fuggire, dovrò… farti male. Non voglio farlo.”

“Perché mi stai facendo questo?” gli aveva chiesto lei, cercando di trattenere il terrore dalla voce.

“Non capiresti. Quelle come te non capiscono mai.”

Poi aveva tirato fuori qualcosa da dietro la schiena, una specie di fucile a dardi.

 

“Per favore,” l’aveva implorato lei, la voce che si spezzava. “Non serve che tu lo faccia.”

“Ricorda le regole,” le aveva detto lui senza la minima emozione nella voce. “Seguile, e le cose andranno molto meglio per te.”

Senza aggiungere una parola, aveva sparato un colpo. Caroline aveva sentito la forte sensazione di qualcosa che la pungeva alla coscia sinistra. Poi si era sentita pesantissima. Gli occhi si erano chiusi e il mondo era diventato buio un’altra volta.

Quando si era svegliata la volta dopo, era bendata come lui le aveva promesso. L’iniziale ondata di panico che aveva provato in quelle prime ore alla fine aveva lasciato il posto alla speranza, per cui iniziò a raccogliere tutte le informazioni che poteva. Poteva seguire lo scorrere del tempo, scandito dai momenti in cui le portava da mangiare, dal relativo calore dell’edificio e dai fasci di luce che filtravano tra le imposte.

A intervalli regolari lui tornava, le scarpe che riecheggiavano sul pavimento di cemento dell’edificio vuoto. Per quanto Caroline tentasse di controllarsi, quel suono le faceva accelerare il battito. Lo sentiva aprire il lucchetto della gabbia, spostare il cancello, aprire la porta metallica e posare sul pavimento due ciotole. Dato che aveva i polsi legati, Caroline era costretta a lappare il cibo e l’acqua dai loro recipienti come un vero cane.

Non le consentiva mai di andare in un vero bagno. Era invece costretta a togliersi la biancheria e andare in un angolo della gabbia. Di tanto in tanto lui entrava nella stanza e lavava sia lei e il pavimento con un getto d’acqua. Poi se ne andava di nuovo. Dopo il primo giorno, aveva imparato che la cosa migliore da fare era spingere biancheria e coperta tra i buchi della rete sopra di lei in modo che non si bagnassero quando lo spruzzo d’acqua la colpiva.

La routine divenne così regolare che ogni minima variazione era per lei fonte di preoccupazione. Per uno dei pasti le portò solo una ciotola, spiegando che dato che era stufato, era sufficiente a soddisfare tutti i suoi bisogni. Un’altra volta lei si svegliò, certa che fosse mattina, ma lui non arrivò che all’ora di pranzo, facendole temere di averla abbandonata del tutto.

A volte Caroline si ritrovava a chiedersi se anche gli altri l’avessero abbandonata. I suoi amici e la sua famiglia si erano accorti della sua assenza? L’avevano detto alla polizia? Qualcuno la stava cercando?

Ma fu in quella pungente serata primaverile, mentre tentava di evitare che la sua misera coperta scivolasse giù, schiacciando il corpo contro la parete della gabbia, e mentre stringeva le cosce contro le braccia per impedirsi di tremare, che notò un’altra variazione della routine.

Quando l’uomo se n’era andato dopo aver recuperato i piatti della sua cena fatto di acqua e fagioli in scatola, lei non aveva sentito il consueto rumore del lucchetto della gabbia che veniva richiuso. L’uomo aveva fatto scorrere il cancello, ma aveva ricevuto una chiamata subito dopo. Allontanandosi per rispondere, aveva lasciato la porta della gabbia aperta.

Caroline attese, aspettandosi di sentirlo tornare a completare il suo lavoro. Ma dopo quella che stimò essere un’ora, le fu chiaro che non sarebbe successo. Era certa che lui le tenesse una videocamera puntata contro, quindi fu estremamente cauta quando si abbassò leggermente la benda e si guardò attorno.

Era buio. L’unica luce proveniva dalla mezza luna che faceva capolino tra le finestre rotte. Nell’oscurità, non vide nessun dispositivo di sorveglianza, ma questo non significava che non ce ne fossero.

Con la massima discrezione, sollevò lo sguardo sul punto in cui avrebbe dovuto esserci il lucchetto. Era lì, ma non era stato chiuso e se ne stava penzolante dalla sbarra. Per quello che poteva vedere, le sarebbe stato sufficiente rimuoverlo e far scorrere il cancello di lato.

Caroline si mise a sedere, dibattuta sul da farsi. Se voleva tentare la fuga, non ci sarebbe mai stato un momento più perfetto di questo. Se le notti che aveva passato lì le potevano servire da indicazione, l’uomo non sarebbe tornato prima di mattina.  Questo le avrebbe concesso ore per arrivare lontano e magari trovare aiuto. Se voleva fare una mossa, questo era il momento giusto.

I suoi pensieri andarono a quello che sarebbe successo se lei non avesse fatto nulla. L’uomo che la teneva prigioniera aveva la chiara intenzione di ucciderla. Era solo questione di tempo. Per quanti giorni ancora l’avrebbe tenuta chiusa in una gabbia, dandole da mangiare come a un cane e lavandola con la gomma dell’acqua, prima di stancarsi e passare a qualcosa di più eccitante? Aveva davvero intenzione di starsene lì rannicchiata ad aspettare che succedesse?

Prima ancora di poter prendere una decisione cosciente, le sue mani erano oltre la rete della gabbia e cercavano di sfilare il lucchetto dal suo appiglio. Aveva le dita indolenzite per non averle usate e per il laccio stretto attorno ai polsi, ma alla fine riuscì a togliere il lucchetto. Poi afferrò il cancello e lo spinse, facendolo scivolare verso destra. Poi spinse la porta metallica, che si spostò cigolando. Per un secondo rimase ferma lì, impietrita dalla paura. Poi strisciò fuori.

Alzarsi in piedi per la prima volta dopo giorni fu doloroso e difficile. Caroline spinse con i palmi intorpiditi contro il pavimento. Mentre si alzava barcollante sui piedi, sentì i muscoli delle cosce e dei polpacci che si tendevano. Le ci volle quasi un minuto prima di avere la sicurezza necessaria per muovere il primo passo. Quando si sentì piuttosto certa che non sarebbe caduta, si diresse verso la porta da cui aveva visto entrare l’uomo la prima notte. Spinse con forza, ma era chiusa dall’esterno.

Si levò completamente la benda dagli occhi. Non c’erano altre porte in vista. Poi il suo sguardo si posò su una delle finestre rotte. Era troppo alta per potersi arrampicare fuori di lì e certo lei non era nelle condizioni per fare un salto. Perlustrò la stanza con lo sguardo alla ricerca di una sedia, ma non ce n’erano. Però c’era la gabbia.

Con la poca forza che aveva, Caroline la trascinò fino alla parete, sotto alla finestra. C’erano schegge di vetro appuntite attorno al davanzale, e Caroline usò i gomiti per spazzarle via. Poi salì sopra alla gabbia, pregando che sostenesse il suo peso. Era stabile.

Incapace di tenersi con le mani legate, si sporse oltre la finestra, appoggiando gli avambracci sul davanzale. Mentre strisciava in avanti, sentì una scheggia di vetro rimasta che le si piantava nella pelle. Cercò di ignorarla, concentrandosi invece sul salto che la separava dal terreno sottostante. Alla tenue luce della luna, le parve essere circa un metro e mezzo.

Non aveva molta scelta. Quindi si tirò più avanti con gli avambracci e spinse forte i piedi contro la gabbia. Quella scivolò indietro e lei cadde, il busto e le anche che sbattevano contro il davanzale e le schegge affilate come rasoi che si erano raccolte lì.

Per fortuna la maggior parte del suo peso era atterrato sulla sua spalla destra e in seconda battuta sulla schiena. Ignorando il dolore alle ossa, Caroline si mise in piedi e si allontanò barcollando dall’edificio, cercando qualsiasi cosa che potesse somigliare a una strada.

Dopo diversi minuti di ricerca, ne trovò una per sbaglio quando i suoi piedi nudi passarono dall’erba a terra e ghiaia. Abbassò lo sguardo, quasi incapace di distinguere la differenza di colore tra le due superfici. Fece comunque del proprio meglio per seguire la strada, usando come guida più i piedi che gli occhi e tentando di non permettere al panico di avere il sopravvento su di lei.

Mentre svoltava un angolo ai piedi della collina, si chiese dove l’uomo avesse potuto portarla, dato che non riusciva a vedere le luci di nessuna cittadina. E poi tutt’a un tratto le vide. Quando ebbe fatto il giro della collina, le ammiccanti luci del centro di Los Angeles la salutarono come un enorme faro che le offriva conforto, ma la metteva anche in guardia.

Caroline fece un passo in avanti, ipnotizzata da quella vista. Lei viveva a West Hollywood, dove non faceva quasi mai buio, anche se raramente se n’era resa conto. Ora l’improvvisa comparsa della città la faceva sentire come se si fosse trovata nel mezzo di un deserto, da dove avesse appena avvistato un’oasi. Fece un altro passo, lasciando la terra e sentendo ancora l’erba umida sotto ai piedi.

Ma tutt’a un tratto sentì che perdeva la presa sul terreno. Si rese conto troppo tardi che aveva messo il piede sul bordo di un altro versante della collina e che il terreno le stava franando sotto. Ruotò su se stessa allungando le braccia e tentando di afferrare una radice o un ramo. Ma con la fune ai polsi le fu impossibile.

Improvvisamente si trovò a precipitare, rotolando e rimbalzando contro rocce e alberi. Cercò di chiudersi a palla, ma era difficile farlo. A un certo punto la sua gamba destra sbatté contro un albero, piegandosi in maniera molto dolorosa.

Caroline non aveva idea di quanto continuò a cadere, ma quando alla fine si fermò, solo il dolore lancinante le assicurò che era ancora viva. Aprì gli occhi, rendendosi conto di averli tenuti ben chiusi per tutto il tempo della discesa.

Le ci vollero diversi secondi per orientarsi. Era sdraiata di schiena, rivolta verso la cima della collina. Da quanto vedeva, aveva di certo fatto un volo di almeno venti metri lungo un versante ricoperto di rocce, cespugli e alberi secchi. Piegò la testa di lato e vide una cosa che, nonostante tutto il dolore che provava, la riempì di gioia: dei fanali.

Si sforzò di ruotare a pancia in giù. Sapeva di non poter appoggiare alcun peso sulla gamba destra, figurarsi alzarsi in piedi. Quindi strisciò, piantando le unghie nella terra prima, e poi spingendosi con la gamba sinistra, ancora operativa. Riuscì a trascinare il proprio corpo per metà sulla strada, dove rotolò in posizione supina e agitò disperatamente le braccia legate sopra alla testa.

I fanali smisero di avanzare e lei sentì un motore spegnarsi. Quando qualcuno smontò dal veicolo e Caroline vide gli stivali che avanzavano verso di lei, ebbe un improvviso quanto orribile pensiero.

E se fosse l’uomo che mi aveva preso?

Un attimo dopo le sue paure svanirono, quando vide la persona inginocchiarsi accanto a lei e si accorse che era una donna con indosso quella che sembrava un’uniforme da guardia forestale.

“Ma che diavolo…?” disse la donna, prima di tirare fuori una radio e parlare con voce carica di urgenza. “Centrale uno, parla il Ranger Kelso. Ho una situazione di emergenza sulla Vista Del Valley Drive, quadrante sei. C’è una donna ferita sdraiata a bordo strada. Ha una brutta frattura alla gamba destra e i polsi legati. Chiamate il nove-uno-uno. Penso sia stata rapita, proprio come le altre.”

CAPITOLO DUE

“Perché sento puzza di bruciato?”

Hannah pose la domanda con voce calma, ma Jessie poté comunque percepire il suo tono d’accusa. C’era solo un motivo per cui qualcosa stesse potenzialmente bruciando: perché Jessie ci stava provando un’altra volta, e di nuovo stava fallendo miseramente.

Scattò via dal tavolo della cucina dove stavano giocando a Trivial Pursuit e andò di corsa al forno, aprendolo e scoprendo che i suoi scone di lampone e arancia avevano un aspetto decisamente nerastro e bruciacchiato. Si infilò frettolosamente un guanto da cucina e li tirò fuori, posandoli senza tanti complimenti sopra ai fornelli. Dal paninetto più annerito si levavano piccoli rivoli di fumo.

Jessie sentì Ryan che rideva dal tavolo. Hannah aveva un’espressione delusa in volto, come se fosse lei la tutor ufficiale che tentava con tutte le forze di trattenersi dal rimproverare la problematica ragazza che aveva in carico. Ovviamente le cose generalmente erano l’esatto opposto, quindi l’espressione di Hannah rivelava anche un pizzico di soddisfazione.

“Non girare il dito nella piaga,” disse Jessie sulla difensiva.

“Non lo farei mai,” rispose la ragazza con finto tono d’offesa.

“Magari potremmo usarli come dischetti per una partita a hockey,” propose Ryan.

“Oppure sassi da tirare?” suggerì Hannah con eccessivo entusiasmo.

Jessie cercò di non sentirsi troppo irritata per le innocenti punzecchiate della sorellastra. Abbassò lo sguardo sui resti fumanti del suo tentativo culinario e sospirò.

“Immagino che dovremo tirare fuori dal congelatore l’ultima scorta di quelli che avevi preparato tu,” disse rassegnata.

“Fai pure,” disse Hannah. “Ma sbrigati. Mi mancano solo due pezzi per vincere questa partita.”

“Dammi un minuto,” disse Jessie, rovistando nel congelatore e trovando il contenitore degli scone. Li infilò nel tostapane e aspettò che si scaldassero, non volendo rischiare di bruciare anche quelli.

 

“Non capisco,” disse Ryan canzonandola. “Sei la seconda profiler criminale di tutto il sud California, eppure sembri incapace di cucinare qualcosa senza usare il microonde. Com’è possibile?”

“Priorità, Hernandez,” gli rispose. “Qualcosa a metà tra il dare la caccia ai serial killer, l’intrufolarsi nelle politiche del Dipartimento, restare sexy per te…”

“Bleah!” si intromise Hannah.

“E occuparmi di un’adolescente so-tutto-io.”

“Non ho così tanto bisogno che ti occupi di me, se vuoi proprio saperlo,” ribatté Hannah sorridendo.

Jessie insistette.

“Da qualche parte in mezzo a tutto questo, ho dimenticato di prendere lezioni di pasticceria. Vogliate scusarmi.”

“È per questo che il tuo ex-marito ha tentato di ammazzarti?” chiese Hannah, sgranando gli occhi in un’espressione di finta innocenza.

“No,” si intromise Ryan. “Quello era per la sua fesa di manzo. È un crimine contro l’umanità.”

Jessie tentò di non sorridere.

“Non apprezzo particolarmente tutta questa combutta contro di me. E vorrei farvi notare che nessuno, tra coloro che hanno tentato di farmi fuori, ha mai citato la cucina tra i motivi.”

“Volevano essere gentili,” disse Hannah.

Jessie stava per rispondere quando l’allarme del tostapane trillò. Tirò fuori gli scone e li posò su dei piatti, porgendone uno a testa agli altri.  Poi si sedette e diede un morso al suo.

“Mmm,” mormorò sommessamente, incapace di trattenersi.

“Non sono troppo bruciacchiati?” chiese Hannah.

“Vorrei essere sarcastica, ma non posso proprio,” bofonchiò Jessie con la bocca mezza piena. “Come fai a farli così buoni?”

Hannah sorrise, senza mostrare niente del suo innato cinismo. Jessie non poteva fare a meno di notare quando fosse vivace e animata in quei giorni. I suoi occhi verdi, di solito opachi e disinteressati, brillavano. I suoi capelli biondo sabbia sembravano in qualche modo più luminosi. Appariva addirittura più alta, dato che ultimamente camminava a testa alta. Con una statura di un metro e settantanove, era solo un centimetro più bassa di Jessie, ma con questa nuova e migliore postura e la corporatura atletica, poteva sembrare il doppio di sua sorella.

“Il segreto sta tutto in una parola: burro. A dire il vero facciamo tutte e quattro le parole: un sacco di burro.”

Prima che Jessie potesse prenderne un altro morso, il suo telefono suonò. Abbassò lo sguardo e si accorse che era la chiamata che aveva programmato.

Sono già le nove di sera?

Si stava divertendo così tanto che aveva perso il senso del tempo.

“Chi è?” le chiese Ryan.

“È il primo profiler criminale del sud California. Voleva una mia idea su un caso,” mentì. “Datemi quindici minuti.”

“Ok,” disse Hannah, “ma poi saltiamo il tuo turno.”

“Capito,” disse Jessie, portandosi scone e telefono in camera.

Cercò di mantenere il tono allegro. Ma neanche il delizioso impasto di Hannah poteva aiutarla a eliminare il nervosismo che improvvisamente le si era materializzato nello stomaco. Stava per rispondere, quando cambiò idea. Non voleva interrompere questa serata quasi perfetta per discutere di questioni più oscure, quindi decise che non l’avrebbe fatto. Mandò la chiamata alla segreteria e rispose con un messaggio.

Ottima serata con Hannah in corso. Non voglio interromperla. Possiamo parlare domani?

Dopo qualche secondo ricevette la risposta. Poté quasi sentire il tono serio e deciso.

Vediamoci di persona. Sala del personale alla centrale. 7 in punto.

Digitò ‘Ok’ in risposta e lasciò cadere l’argomento. Sapeva che gli piaceva arrivare in ufficio presto, ma non poté fare a meno di pensare che avesse fissato il loro incontro a quell’ora assurda come punizione per quel suo cambio di programma. Però ne valeva la pena, se così facendo poteva passare dell’altro tempo di qualità insieme ad Hannah.

“Ehi,” disse, tornando in salotto. “Ho deciso che farvi il culo era meglio di qualsiasi altro caso. Sarà meglio che non abbiate davvero saltato il mio turno.”

Mentre tornava a prendere il suo posto, Jessie sapeva che stava solo posticipando la discussione su un argomento che la stava ossessionando. Ma una sera in più di giochi non era poi la fine del mondo. Almeno questo fu quello che disse a se stessa. La realtà, in tutto il suo orrore, avrebbe dovuto aspettare l’indomani.