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Storia della decadenza e rovina dell'impero romano, volume 11

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Fra i condottieri e i soldati che al Santo Sepolcro affrettavansi, oserei assicurare non essersene trovato un solo che lo spirito di entusiasmo, la fiducia nel merito dell'impresa, la speranza del guiderdone e del patrocinio celeste, non animassero. Ma mi persuado parimente che, per la maggior parte di essi, tali motivi non fossero i soli; e che per alcuni anzi, non formassero il principal fomite di tanto fervore. La preponderanza, o l'abuso, della religione, difficilmente arrestano il torrente de' costumi dei popoli, bensì quando voglion affrettarne il corso, l'impulso loro non trova più resistenza. I Papi e i Sinodi indarno tuonavano contro le guerre de' privati, i sanguinosi tornei, gli amori licenziosi, i duelli giudiziarj. Più agevolmente riuscivano ad eccitare disputazioni metafisiche fra i Greci, a trar ne' chiostri le vittime del dispotismo e dell'anarchia, a santificare la pazienza de' vili e degli schiavi, o in appresso, a farsi merito dell'umanità e della benevolenza che fra i moderni Cristiani ravvisansi. Gli esercizj della persona, e la guerra, erano le passioni favorite de' Franchi e de' Latini; veniva lor comandato di abbandonarsi alle medesime per ispirito di penitenza, di trasportarsi in lontani paesi, e sguainare le loro spade contra le nazioni dell'Oriente; il buon successo, o solamente l'aver cercato di meritarlo, bastavano a fare immortali i nomi degli eroi della Croce; anche una pietà la più pura da una sì luminosa prospettiva di gloria militare allettata esser poteva. Nelle picciole lor guerre europee, questi campioni versavano il sangue de' loro amici, o compatriotti, per l'acquisto forse unicamente di un villaggio, o di un castello: quale esser doveva la loro esultanza nel correre ad affrontare stranieri nemici, vittime al ferro lor consacrate! già colla loro immaginazione afferravano le corone ricche dell'Asia; e i trofei riportati dai Normanni nella Puglia, e nella Sicilia, parean mallevadori d'un trono al più oscuro fra i venturieri. Le contrade abitate dai Cristiani in quel secolo di barbarie, e per clima, e per coltivazione al suolo de' Maomettani cedevano: oltrechè, i vantaggi, di cui natura ed arte largheggiavano all'Asia, erano stati fuor di misura esagerati dallo zelo, o dall'entusiasmo de' pellegrini, e dalle idee che avea concepita l'Europa in veggendo i frutti di un commercio ancor nell'infanzia; il volgo di tutte le classi bevea con avidità i racconti delle maraviglie, che presentava una contrada innaffiata da fonti di mele, e da ruscelli di latte, abbondante di miniere d'oro e di diamanti, coperta di palagi di marmo e di diaspro, adombrata da boschetti olezzanti di cinnamomo e d'incenso. Ciascun Capo di guerrieri si ripromettea dalla sua spada un ricco ed onorevole possedimento, cui assegnava per solo confine l'ampiezza de' proprj desiderj in questo paradiso terrestre415. I vassalli, i soldati poneano la propria fortuna nelle mani di Dio e del loro Signore. Le spoglie di un Emiro turco, bastar doveano ad arricchire l'infimo tra i fantaccini: la squisitezza de' vini della Grecia, l'avvenenza delle donne di quel paese, nella immaginazione di que' campioni della Croce, destavano commozioni più conformi alla natura umana, che alla lor professione416. Nel medesimo tempo, l'amore della libertà accendea gli animi di tutti coloro che della tirannide feudale ed ecclesiastica erano vittime. Col divenire Crociati, i borghigiani, e i contadini, soggetti alla servitù della gleba, sottrar si poteano al giogo di un superbo padrone, e trapiantarsi colle loro famiglie in una terra di libertà. Il frate vedeva un modo di sciogliersi dalla rigida disciplina del suo convento; il debitore di sospendere gl'interessi dell'usura e le persecuzioni de' creditori; gli assassini, e i malfattori d'ogni genere, di sfuggire la punizione de' loro delitti, e di disfidare impunemente le leggi417.

Potenti e numerosi erano questi motivi; ma dopo avere calcolata la forza de' medesimi sopra ciascun individuo particolare, gli è d'uopo aggiugnere ancora la autorità indefinita, e sempre crescente, dell'esempio, e di ciò che chiamasi moda. I primi proseliti, divenuti i più zelanti e i più utili missionarj della Croce, predicavano ai loro amici e compatriotti, l'obbligazione, il merito, la ricompensa della santa impresa, e gli uditori, anche a ciò meno propensi, trovavansi, a mano, a mano, trascinati dal turbine della autorità o della persuasione. Quella gioventù guerriera al menomo rimproccio, o sospetto di viltà di cui si credesse scopo, infiammavasi; tale occasione di poter visitare protetti da un formidabile esercito, il Santo Sepolcro, seducea vecchi ed infermi, donne e fanciulli, che il fervore non le forze lor consultavano: e se taluno eravi che, il dì innanzi, avesse accusati di poco senno i compagni, il dì appresso della follia loro ardentemente partecipava. Quella medesima ignoranza che i vantaggi dell'impresa ingrandiva, ne facea parer minori i pericoli. Per la conquista de' Turchi, essendo stati una serie d'anni interrotti i pellegrinaggi, gli stessi condottieri non aveano che nozioni imperfette su la lunghezza del cammino e lo stato di forze degl'inimici. Tale era anzi la stupidezza degli uomini del volgo, che alla prima città, alla prima rocca oltre i limiti conosciuti, in cui si scontravano, stavan per chiedere se quella fosse Gerusalemme, la meta del loro viaggio e lo scopo delle intraprese fatiche. Ciò nulla ostante i più prudenti fra i Crociati, non a bastanza sicuri di essere nudriti lungo la via da una pioggia di quaglie o di manna celeste418, pensarono a provvedersi di que' preziosi metalli che, per consenso d'ogni paese, sono il simbolo degli agi di nostra vita. Laonde per aver di che sostenere, giusta il loro grado, le spese del viaggio, i Principi diedero in pegno i proprj allodj, ed anche le loro province, i Nobili vendettero terre e castella, i contadini il bestiame e gli strumenti d'agricoltura. Il numero e la fretta de' venditori, inviliva il prezzo delle proprietà, intanto che i bisogni e l'ampiezza dei compratori faceano salire ad esorbitante valore l'armi e i cavalli. In questo mezzo, quelli che rimasero alle case loro, e possedeano qualche danaro e l'accorgimento necessario a farlo fruttare, nell'epidemia generale arricchirono419. I Sovrani acquistarono a buon patto i dominj de' lor vassalli, e i compratori ecclesiastici, mettendo a conto di pagamento la promessa di lor preghiere, minor danaro sborsavano420. Alcuni zelanti Crociati, valendosi di un ferro caldo, o di un liquor corrosivo che ne rendesse l'impronta indelebile, stampavano sul proprio corpo la Croce che gli altri di portar sull'abito si contentavano; e fuvvi uno scaltro frate, il quale, dando a credere che un miracolo divino gli avesse impresso il santo marchio sul petto, la venerazione dei popoli e i più ricchi benefizj della Palestina con questa frode si procacciò421.

 

A. D. 1096

Il Concilio di Clermont, come dicemmo, avea posto pel giorno della partenza de' Crociati il 15 di Agosto; ma costrinse ad anticiparla il numero e la straordinaria impazienza di pezzenti plebei a questa spedizione raccoltisi. Racconterò brevemente e quanto costoro soffersero, e quanto di malvagio operarono, prima d'incominciare il racconto dell'impresa più rilevante e più felice de' lor condottieri. Al comparire di primavera, oltre sessantamila persone di entrambi i sessi e della feccia del popolo, dai confini della Francia e della Lorena sen vennero, tutti accerchiando il primo missionario della Crociata, e sollecitandolo con grida, e con ogni modo di importunità, perchè presto al Santo Sepolcro li conducesse. Piero, trovatosi Generale, senza averne o il sapere, o l'autorità, guidò, o piuttosto seguì i suoi ardenti proseliti lungo le rive del Reno e del Danubio. Il numero e il bisogno li costrinsero ben tosto a sbandarsi. Gualtieri Senza Sostanze, luogotenente dell'Eremita, e soldato coraggioso, comunque oppresso dall'indigenza, comandava l'antiguardo de' Crociati. Ci formeremo facilmente un'idea di questo esercito di ciurmaglia osservando che per ogni quindicimila pedoni vi si contavano appena otto uomini a cavallo. Godescallo, altro frate fanatico, le cui prediche aveano arrolati quindici o ventimila contadini de' villaggi dell'Alemagna, l'esempio e le traccie di Piero eremita d'appresso seguì; e a tutti costoro ancora si unirono dugentomila mascalzoni, la feccia più ributtante della plebaglia di tutti i paesi, che delle pratiche di pietà, del ladroneccio, dell'ubbriachezza, e d'ogni ribalderia, un orrendo miscuglio faceano. Alcuni Conti o gentiluomini, condottieri di tremila soldati a cavallo, trovarono espediente l'adattarsi alle costoro voglie per partecipar con essi alle prede. Ma i veri comandanti, almeno da questa bruzzaglia riconosciuti per tali (chi crederà oggimai ad un eccesso tal di demenza?) erano un'oca e una capra, che costoro si teneano a capo di tutte le squadre, e alle quali bestie questi spettabili Cristiani attribuivano una ispirazione divina422. Contra gli Ebrei, carnefici di Gesù Cristo, vennero adoperate le prime e men difficili imprese di codeste bande fanatiche, e di quelli che le secondavano. Le ricche e numerose colonie di tal nazione, stanziatesi nelle città mercantili del Reno e della Mosella, ivi sotto la protezione dell'Imperatore e de' Vescovi, di un libero esercizio del loro culto godeano423. A Verdun, a Treveri, a Magonza, a Spira, a Worms più migliaia di questi infelici furono spogliati e trucidati424, nè dopo la persecuzione di Adriano, altra più sanguinolenta ne aveano sofferta. Ben la fermezza de' Vescovi salvò alcuni di essi che momentaneamente finsero di abbracciare il Cristianesimo; ma gli Ebrei più ostinati, fanatismo opposero a fanatismo, e sbarrate le proprie case, e lanciandosi entro il fiume, o in mezzo alle fiamme, colle proprie famiglie e co' proprj tesori la rabbia, o almen l'avarizia, de' furibondi lor nemici delusero.

A. D. 1096

Tra i confini dell'Austria e la capitale dell'Impero d'Oriente i Crociati dovettero attraversare, per un intervallo di seicento miglia, i selvaggi deserti della Ungheria e della Bulgaria425. Fertile oggidì, e frastagliato da fiumi è quel suolo; ma in quella età non vi si incontravano che paludi, e quelle vastità di foreste, la cui estensione non conosce più limiti, allorchè l'uomo è schifo di assoggettare alla propria solerzia la terra. Avendo entrambe le nazioni ricevuti i principj del Cristianesimo, gli Ungari obbedivano ad un principe nato fra essi; un luogotenente del greco Imperatore i Bulgari governava. Ma la feroce indole di queste genti, al più lieve pretesto di scontento, destavasi, nè lievi pretesti i ladronecci de' Crociati ad essi fornirono. Queste ignoranti popolazioni, presso le quali, come si è veduto, l'agricoltura mal regolata languìa, abbandonavano nella state le lor città, fabbricate di legno e di canne, per portarsi sotto le tende, più consuete abitazioni di popoli pastori e cacciatori. I Pellegrini crociati dopo aver chieste con arroganza alcune vettovaglie di cui mancavano, se ne impadronirono colla forza, voracemente le dissiparono, e dopo il primo contrasto che ebbero, a tutto l'impeto della vendetta e della indignazione si diedero. Ma l'assoluta ignoranza del paese ove trovavansi, e dell'arte della guerra e della disciplina a cadere in tutti gli agguati gli avventurava. Il prefetto di Bulgaria avea truppe regolari sotto i suoi ordini, e allo squillar primo della tromba guerriera, l'ottava, o decima parte degli Ungaresi corse all'armi, e in un corpo formidabile di cavalleria si ordinò; le quali truppe ai pietosi masnadieri tendendo insidie, sovr'essi ottennero una sanguinosa e memorabil vendetta426. Un terzo all'incirca di questa masnada, spogliata di tutto ed ignuda, ebbe a ventura il potersi riparar nella Tracia: Piero l'Eremita fu tra quelli che si salvarono. Il Greco imperatore che rispettava i motivi del viaggio impresosi dai Latini, e desideroso inoltre de' loro soccorsi, fece scortar questi avanzi per una strada sicura e facile infino alla sua Capitale, ove li consigliò stessero ad aspettare l'arrivo de' lor compatriotti. La ricordanza delle commesse irregolarità, e dei danni che ne erano ad essi avvenuti, li tenne in dovere, sin tantochè incoraggiati della liberale accoglienza che a costoro fecero i Greci, la solita cupidigia tornò a dominarli, nè risparmiarono gli stessi benefattori; e giardini e palagi e chiese divennero scopo alle loro devastazioni. Alessio, che per la propria sicurezza incominciò a paventare, tanto fece che li persuase a trasferirsi sulla sponda asiatica del Bosforo; ma spinti da cieco impeto, abbandonarono ben tosto il campo che il Principe greco aveva ad essi additato come il migliore, e senza pensare alle conseguenze, si precipitarono addosso ai Turchi che la via di Gerusalemme tenevano. L'Eremita, vergognandosi di far sì trista comparsa, dal campo de' Crociati a Costantinopoli si trasferì, e il luogotenente del medesimo Gualtieri, ben degno di comandare a migliori truppe, si adoperò, ma indarno, per introdurre qualche poco di ordine e di disciplina in mezzo a questi selvaggi. Tornati a sbandarsi per avidità di saccheggio, caddero facilmente negli agguati che apparecchiò loro il sultano Solimano. Questi fece spargere destramente la voce, che una parte di Crociati marciata innanzi, della capitale de' Turchi erasi impadronita. Tutti gli altri corsero allora sullo spianato di Nicea, impazienti di raggiugnere i compagni, e star con essi a parte di preda; ma caduti vittime de' turchi dardi, cumuli d'ossa annunziarono la sconfitta de' primi a quelli che vennero dopo427; e già trecentomila Crociati avean trovato il lor sepolcro nell'Asia, prima che una sola città agl'Infedeli si fosse tolta, prima che i Capi e i Nobili della Cristianità, gli apparecchi della santa impresa avesser compiti428.



La prima Crociata non contò alcun monarca europeo che vi marciasse in persona. L'imperatore Enrico IV avea tutt'altra voglia che di obbedire alle prescrizioni del Papa. Filippo I, re di Francia, pensava a ricrearsi, Guglielmo il Rosso, re d'Inghilterra, a conservare una recente conquista; bastanti brighe offeriva ai re di Spagna la guerra guerreggiata nell'interno del lor paese co' Mori; i Sovrani settentrionali della Scozia e della Danimarca429, della Svezia e della Polonia, manteneansi tuttavia indifferenti agli interessi e alle passioni de' popoli del Mezzogiorno. Il fervor religioso si fece con più efficacia sentire ai principi di secondo ordine, che nel sistema feudale una rilevante sede occupavano; e fu una tal circostanza che, come naturalmente, sotto quattro principali condottieri, i Crociati raccolse. Nel dipingere i caratteri di ognuno di questi duci molte inutili ripetizioni potrò evitare, osservando che il coraggio e le consuetudini dell'armi, attributi generali erano di tutti i venturieri cristiani.

 

I. Goffredo di Buglione, e nella guerra, e ne' consigli, meritò il primo grado, e felici i Crociati se la condotta generale della impresa fosse stata unicamente affidata a questo eroe, degno di rappresentar Carlomagno, da cui per linea femminile scendea. Il padre di lui apparteneva alla nobile schiatta de' Conti di Bologna marittima. La madre era erede del Brabante, ossia Bassa Lorena430, l'investitura del qual paese, l'Imperatore conferì a Goffredo con titolo di Ducato, applicato poi impropriamente a Buglione nelle Ardenne, patrimonio primitivo dei Signori di Buglione431. Militando sotto Enrico IV e portando egli il grande stendardo dell'Impero, il cuore di Rodolfo il Ribelle, colla lancia sua trapassò. Stato egli il primo a scalar le mura di Roma, una infermità sopraggiuntagli, un voto fatto nel durare della medesima, o fors'anche il rimorso di avere portate l'armi contra il sommo Pontefice, lo confermarono nella risoluzione, più antica in esso, di visitare, non a guisa di pellegrino, ma di liberatore, il Santo Sepolcro. Il valor suo temperavano la prudenza e la moderazione; e comunque cieca la sua pietà, era però verace, e in mezzo al tumulto de' campi, tutte le virtù reali ed immaginarie di un cenobita in lui si scorgevano. Superiore alle fazioni che fra gli altri duci spargean la discordia, ai soli nemici di Cristo i suoi sdegni serbava432; e benchè cotale impresa gli fruttasse un regno, non evvi alcuno fra i medesimi suoi rivali che alla purezza del suo zelo, o al suo disinteresse non abbia fatta giustizia. Due fratelli in questa spedizione lo accompagnarono: Eustachio il primogenito, erede della contea di Bologna, e Baldovino il minore, le cui virtù da contrarj sospetti non andarono immuni. Ad entrambe le rive del Reno ripettavasi il Duca di Lorena; e la nascita e l'educazione, le lingue francese e teutonica gli rendeano famigliari egualmente. Allor quando i Baroni di Francia, di Alemagna e di Lorena i lor vassalli assembrarono, l'esercito confederato che militò sotto la bandiera di Goffredo ad ottantamila fantaccini, e a diecimila uomini a cavallo sommò.

II. Fra i principi che si chiarirono campioni della Croce al parlamento tenutosi alla presenza del Re di Francia, circa due mesi dopo il Concilio di Clermont, può riguardarsi come il più illustre, Ugo, conte di Vermandois; ma più che il merito, o i possedimenti comunque sotto entrambi questi riguardi ei meritasse venir distinto, gli ottenne il soprannome di Grande, la sua qualità di fratello del francese Monarca433. Roberto duca di Normandia, e figlio primogenito di Guglielmo il Conquistatore, per propria indolenza, e per altrettanta solerzia del fratello del medesimo Guglielmo il Rosso, avea perduto, alla morte del padre, il trono dell'Inghilterra. Indole leggiera e animo debole, molt'altre prerogative di Roberto offuscavano. Per umore naturalmente gioviale, abbandonavasi di soverchio ai piaceri: le sue profusioni rovinavano lui come i popoli: per una mal intesa clemenza, incoraggiava i delitti, onde le virtù amabili di un privato, funesti vizj divenivano in un sovrano. Risoluto di partirsi per la Palestina, diede in pegno, per la picciola somma di diecimila marchi, il Ducato di Normandia all'usurpatore dell'Inghilterra434: ma la sua spedizione a Terra Santa, e il contegno da esso tenutosi durante la guerra, tutt'altro uomo in lui dimostrarono, e in qualche modo l'opinione pubblica gli rendettero. – Eravi un altro Roberto, conte di Fiandra, regale provincia che diede in quel secolo tre regine ai troni di Francia, d'Inghilterra, e di Danimarca. Veniva soprannomato la Lancia o la Spada de' Cristiani: ma abbandonandosi all'impeto di un soldato, gli obblighi di un generale talvolta dimenticava. – Stefano, conte di Chartres, di Blois e Trojes, uno de' più ricchi principi del suo secolo, talchè il numero de' suoi castelli, co' trecento sessantacinque giorni dell'anno solea confrontarsi; avea, mediante lo studio delle Lettere, la mente sua ingentilita, onde nel consiglio dei duci, l'eloquente Stefano elessero a presidente435. Erano questi i quattro principali Capi che i Franchi, i Normanni e i pellegrini delle isole Britanniche conducevano; ma un registro di tutti i Baroni crociati che tre o quattro città sol possedeano, oltrepasserebbe, dice un autore contemporaneo, il catalogo de' comandanti della spedizione troiana436.

III. Nel mezzodì della Francia si spartirono fra loro il comando Ademaro, vescovo di Puy, Legato pontificio, e Raimondo conte di San-Gille e di Tolosa, che a questi titoli i più luminosi di Duca di Narbona, e di Marchese di Provenza aggiugnea. Il primo d'essi, rispettabile prelato, le virtù necessarie alla felicità temporale ed eterna in sè stesso accoglieva; il secondo, guerriero veterano, dopo avere già combattuti i Saracini di Spagna, gli ultimi suoi giorni alla liberazione e alla difesa del Santo Sepolcro fe' sacri. Perizia del pari e ricchezze, gli acquistarono somma prevalenza nel campo de' Cristiani che spesso di soccorsi da esso abbisognarono, e qualche volta gli ottennero; ma più agevole cosa riusciva a Raimondo il costringere gli Infedeli ad ammirarne il valore, che serbarsi l'affetto de' suoi vassalli e de' suoi compagni d'armi: l'indole di lui arrogante, invidiosa, ostinata oscurava l'altre prerogative dell'animo suo; onde a malgrado di avere egli abbandonato per la causa di Dio un ricco patrimonio, la pietà sua, nell'opinione pubblica, apparve non disgiunta dai sentimenti dell'avarizia e dell'ambizione437. I Provenzali hanno fama di essere più mercatanti assai che guerrieri, e sotto nome di Provenzali438, gli abitanti dell'Alvernia e della Linguadoca439, e i vassalli del regno di Borgogna e di Arles venivan compresi. Raimondo trasse dalle frontiere della Spagna una banda d'intrepidi venturieri, e passando per la Lombardia, una folla d'Italiani, che sotto le sue bandiere arrolaronsi; onde a centomila combattenti, di fanteria e cavalleria, le forze del medesimo in tutto sommavano. Se Raimondo, primo ad assumere il vessillo della Croce, fu l'ultimo a mettersi in cammino, la grandezza degli apparecchi da esso fatti, e il disegno di dire eterno addio alla sua patria, possono riguardarsi come una scusa legittima di tale tardanza.

IV. Una doppia vittoria, sul greco imperator riportata, avea già fatto celebre il nome di Boemondo, figliuolo di Roberto Guiscardo; ma il testamento paterno al principato di Taranto, e alla sola ricordanza de' trofei orientali lo avea ridotto, allorchè la fama eccitata dalla santa impresa, e il passaggio de' Pellegrini franchi il destarono. È meritevole di attenzione il carattere di questo Duca normanno, in cui più che in altri ravviseremo grande ambizione, congiunta a fredda politica, nè però affatto scevra di religioso fanatismo. La condotta da lui tenutasi dà luogo a credere, ch'egli avesse regolati di nascosto i disegni del Sommo Pontefice, e finto in appresso di venirli a saper con sorpresa, e di secondarli con zelo. Nell'assedio di Amalfi, co' discorsi e coll'esempio, il fervore de' confederati maggiormente infiammò; si lacerava le vesti per presentar di Croci coloro che al suo esercito si ascrivevano, e già comandava diecimila uomini a cavallo, e ventimila fanti, quando a visitar Costantinopoli e l'Asia s'apparecchiò. Molti Principi normanni seguirono ansiosamente l'antico lor Generale; ma il cugino di esso, Tancredi440, più di suo compagno che di soggetto ai suoi ordini in questa impresa le parti sostenne. Il carattere di Tancredi, nobile sotto ogni aspetto alle virtù che ad eccellente cavaliere si addicono441, univa quel vero spirito di cavalleria, che inspira al guerriero sentimenti di beneficenza e di generosità, ben da preferirsi alla spregevole larva di filosofia, ed alla divozione ancor più spregevole di que' tempi.

Nel tempo trascorso fra il secolo di Carlomagno e le Crociate, fatto erasi presso gli Spagnuoli, i Normanni, i Franchi, un cambiamento che per tutta l'Europa rapidamente si dilatò e fu quello di commettere ai soli plebei il servigio dell'infanteria. Divenuta nerbo degli eserciti la sola cavalleria, il nome onorevole di miles fu riserbato ai gentiluomini442 che combatteano a cavallo, dopo essere stati insigniti del carattere di cavaliere. I Duchi e i Conti, dopo essersi arrogati i diritti della sovranità, coi fedeli loro Baroni le province si scompartivano: e i Baroni a lor volta, distribuirono ai proprj vassalli i feudi e i benefizi della giurisdizione da essi goduta. Di questi vassalli militari, riguardati pari l'uno a petto dell'altro, e persino pari al Signore, da cui la primitiva autorità derivava, era composto l'Ordine equestre, ossia l'Ordine de' Nobili, che avrebbero arrossito di ravvisare nel contadino o nel borghese un ente della loro spezie. Manteneano la dignità de' natali con una scrupolosa sollecitudine di non contrar parentadi fuori del loro ceto; e i figli de' medesimi non poteano venire ammessi nell'Ordine de' cavalieri, se quattro quarti, o generazioni immuni da taccia, o rimprovero non provavano. Ciò nullameno un valoroso plebeo poteva arricchirsi, nobilitarsi nell'armi, divenire ceppo d'una nuova prosapia. Un semplice cavaliere avea diritto di istituirne un altro, cui di questo onore militare credesse degno; e i bellicosi monarchi dell'Europa, più di questa distinzion personale che dello splendor del diadema, invanirono. Una tal cerimonia, di cui troviamo le tracce nelle opere di Tacito e nei boschi della Germania443, fu semplice nella sua origine, e dalle idee religiose disgiunta. Dopo alcune prove d'uso, venivano adattati alla gamba del candidato gli speroni, e cintagli la spada, dopo di che ricevea una lieve percossa sulla spalla, o sulla guancia, come per avvertirlo essere questo l'ultimo affronto che ei non potea sopportare senza volerne vendetta; ma la superstizione, ben tosto, in tutti gli atti della vita privata, o pubblica si frammise. Dalle guerre sante consacrata la professione dell'armi, i diritti e i privilegi degli Ordini Sacri del sacerdozio, all'Ordine cavalleresco divenner comuni. Il bagno, e la tonaca bianca di cui vestito era il novizio, una sconvenevole imitazione della rigenerazion battesimale divennero. I ministri della Chiesa benedivano la spada, che sull'altare, il cavaliere nuovamente creato posava. Preghiere e digiuni precedevano la cerimonia, e armato era cavaliere a nome di Dio, di S. Giorgio e dell'Arcangelo S. Michele. Ei profferiva il voto di adempire i doveri della sua professione; della qual promessa l'educazione, l'esempio, l'opinion pubblica si facevano mallevadori. Come campione di Dio e delle donne (arrossisco nel collegare insieme queste due idee così disparate) egli obbligavasi a non mai tradire la verità, a mantenere la giustizia, a proteggere gli infelici, ad usare la cortesia, (virtù agli antichi men famigliare) a combattere gli Infedeli, a sprezzare le lusinghe di una vita molle e pacifica, a difendere, in tutte le occasioni pericolose, l'onore della cavalleria, l'abuso della quale, il disprezzo dell'arti, della pace e dell'industria ben tosto fra i cavalieri introdusse. Riguardatisi questi, come i soli giudici, e vendicatori competenti delle proprie ingiurie, le leggi della società civile e della militar disciplina rifiutarono parimente; ciò non ostante sonosi provati spesse volte, e ravvisati con molta evidenza, i felici effetti che una tale istituzione operò, nell'ammansare l'indole feroce de' barbari, e nell'inspirare ai medesimi i principj della buona fede, dell'umanità e della giustizia. Dileguatesi a poco le ingiuste nimistà prodotte da differenza di patria, la fraternità d'armi, o di religione, introdusse uniformità di massime, e gara di virtù fra i Cristiani. I guerrieri di ogni nazione aveano ad ogni istante motivi di assembrarsi, per pellegrinaggi al di fuori, per imprese, o esercizj militari nelle interne parti d'Europa; e un giudice imparziale, ai Giuochi olimpici, tanto nell'Antichità rinomati444, i tornei de' Goti certamente preferirà. Negli spettacoli del primo genere che corrompeano i costumi de' Greci anzichè no, la modestia bandiva necessariamente dallo stadio le vergini e le matrone; ne' secondi in vece, nobili ed avvenenti donne accresceano co' vezzi di lor presenza la pomposa decorazione della lizza, e il vincitore ricevea il premio dell'agilità e del coraggio dalle lor mani medesime. La forza e la destrezza che nella lotta e nel pugilato voleansi, hanno corrispondenze sol lontane ed incerte, co' pregi ad un soldato essenziali: ma i tornei, siccome inventati vennero in Francia, e nell'Oriente e nell'Occidente imitati, una vera immagine delle militari fazioni presentano. I particolari certami, le generali scaramucce, le difese di un passo o di un castello, nel modo medesimo che alla guerra vi si eseguivano, e in entrambe le circostanze dall'abilità del guerriero nel regolare il suo corridore, e nell'adoperare la sua lancia, i buoni successi pendeano. Quasi sempre della lancia il cavaliere valeasi. E nel momento del maggior pericolo, cavalcava un grande ed impetuoso corridore, che nel tempo rimanente della giostra veniva condotto a mano; ed intanto un palafreno, avvezzo a più mite andatura, il suo ufizio al combattente prestava. Superflua cosa or sarebbe il descrivere la foggia degli elmi, delle spade, de' cosciali, degli scudi, e mi basterà a tal proposito annotare che invece di pesanti corazze, i giacchi, o saj da guerra, il petto de' combattenti coprirono. Dopo aver messa in resta la lunga lancia, e spronato violentemente il suo cavallo di battaglia, il cavaliere faceva impeto sull'avversario, impeto tanto forte ed immediato, che rade volte la cavalleria de' Turchi e degli Arabi il potea sostenere. Ciascun cavaliere veniva nel campo di battaglia accompagnato dal suo fedele scudiero, giovine, per lo più, eguale di nascita al proprio Capo, e che faceva a canto di lui il noviziato della milizia. I suoi arcieri ed armigeri gli venivano dopo, nè men di quattro o cinque soldati erano necessarj a formare una lancia compiuta. I patti del servigio feudale, alle spedizioni straniere, o di Terra Santa, non obbligavano. In tali guerre, l'opera de' cavalieri e del lor seguito ottenevasi unicamente dal loro zelo e dalla loro affezione alla causa che doveasi difendere, ovvero per via di ricompense e promesse. Il numero de' combattenti era proporzionato alla possanza, alle ricchezze, alla celebrità di ciascuno de' Capi independenti, i quali gli uni degli altri si discerneano allo stendardo, alle imprese, al grido di guerra; onde le più antiche famiglie d'Europa, fra questi segnali, l'origine e le prove della vetusta loro nobiltà van rintracciando. Questa compendiosa descrizione della cavalleria mi ha fatto portare indugio alla storia delle Crociate che di una tale istituzione furono effetti e cagioni ad un tempo445.

A. D. 1097

Tali furono le milizie, e tali i duci che assunsero l'impresa della Croce per correre a liberare il Santo Sepolcro. Era già partita la flotta de' vagabondi, descritti dianzi, allorchè quelli mutuamente s'incoraggiarono, per via di lettere e parlamenti, ad adempiere i giurati voti, e ad affrettar la partenza. Le mogli, le sorelle di questi campioni entrar vollero a parte del merito e de' rischi del santo pellegrinaggio. Tutte le preziose suppellettili in verghe d'oro e d'argento vennero convertite; i principi e baroni si condussero dietro e cani, e falchi, per non perdere lungo la strada il piacere della caccia, e per essere certi di tener provvedute le proprie mense. La difficoltà di procurar nudrimento a sì grande numero d'uomini e di cavalli, a separare le loro forze costrinsegli; l'elezione loro, o le circostanze di sito, additarono il compartimento delle strade, e rimasero d'accordo di convenir tutti nelle vicinanze di Costantinopoli, e colà incominciar tosto le fazioni belliche contra i Turchi. Dalle rive della Mosella, Goffredo di Buglione attraversò in linea retta l'Alemagna, l'Ungheria, e il paese de' Bulgari, e sintantochè egli comandò solo, il suo esercito non fece passo, che non comprovasse la prudenza e le virtù del condottiero. Ai confini dell'Ungheria, lo arrestò per tre settimane, una popolazione di Cristiani, che il nome della Croce, o piuttosto, nè in ciò avean torto, l'abuso che di cotal nome erasi fatto, abborrivano. Recenti essendo le ingiurie che dai primi pellegrini ricevettero gli Ungaresi, questi che a lor volta oltre ogni confine spinta avevano la vendetta, temeano a ragione un eroe da sdegno di patria congiunto co' loro offensori, e con essi ad un'impresa medesima accinto; ma dopo l'esame de' motivi e degli avvenimenti, il virtuoso Goffredo, limitandosi a deplorare i delitti e le sciagure de' suoi indegni compatriotti, dodici deputati, quai messaggeri di pace inviò, onde a nome di esso, domandassero libero il passaggio, e a moderato prezzo le vettovaglie. Che anzi per togliere ogni argomento d'inquietezza, o sospetto a queste genti, Goffredo diede in ostaggio sè, indi il proprio fratello a Carlomanno, principe di Bulgaria, che con modi semplici, ma amichevoli, co' medesimi usò. Sul Vangelo, in cui gli uni e gli altri credevano, giurarono scambievolmente di mantenere i patti, intantochè un bando, che pronunziava contra chi il violasse la morte, e la licenza e l'audacia de' latini soldati frenò. Dall'Austria fino a Belgrado, senza commettere, o ricevere la menoma ingiuria, attraversarono le pianure dell'Ungheria, e la presenza di Carlomanno, che con numerosa cavalleria a fianco di questi armati veniva, alla sicurezza loro in uno, e a quella de' suoi Stati giovò. Così pervennero i Crociati sino alle sponde della Sava, il qual fiume varcato, Carlomanno gli ostaggi restituì, e gli accompagnò nel separarsi da essi con sinceri voti pel buon esito della loro spedizione. Nel modo medesimo, e serbando egual disciplina, Goffredo trascorse le foreste della Bulgaria, e i confini della Tracia, potendo congratularsi con sè medesimo di essere quasi aggiunto al termine del suo pellegrinaggio senza l'uopo di sguainare contra un Cristiano la spada. Intanto Raimondo, co' suoi Provenzali, dopo aver seguìte da Torino ad Aquilea le strade dilettevoli e facili della Lombardia, camminò quaranta giorni per le inospite contrade della Dalmazia446 e della Schiavonia, ove ai disgusti che offeriva un paese sterile e montagnoso, quelli di un cielo sempre annuvolato si aggiunsero. Gli abitanti davansi alla fuga, o quai nemici si dimostravano; poco frenati dalla lor religione, o dal lor governo, ricusavano viveri e scorte a que' passaggieri, e se scontravansi in soldati sbandati gli uccideano; talchè, nè giorno, nè notte, ebbe pausa la vigilanza del Conte, il quale più profitto ritrasse dal far giustiziare alcuni di cotesti ospiti scorridori, che da un parlamento e da un negoziato convenuto col Principe di Scodra447. Innoltre nel suo cammino fra Durazzo e Costantinopoli, lo tribolarono, senza però arrestarne il viaggio, i soldati e i contadini del greco Imperatore; i quali, con alcune equivoche ostilità, s'accigneano parimente a turbare il passaggio degli altri Capi che sulla costa d'Italia per valicare l'Adriatico mare imbarcavansi. Boemondo, ben provveduto d'armi e di navi, era di più previdente, sollecito di mantenere la militar disciplina, nè le province dell'Epiro e della Tessaglia doveano per anche aver dimenticato il nome di questo guerriero; onde il suo saper militare e il valore di Tancredi tutti gli ostacoli superavano. Benchè il Principe normanno molto riguardo inverso i Greci ostentasse, permise il saccheggio del castello d'un eretico a' suoi soldati448. I nobili Franchi affrettarono il lor cammino con quell'ardore cieco e presuntuoso che alla nazion loro viene sì spesso rimproverato. Dall'alpi fino alla Puglia, la corsa di Ugo il Grande, de' due Roberti e di Stefano di Chartres, per mezzo ad un florido paese, e fra le acclamazioni de' Cattolici, ad una processione trionfale paragonar si potea. Baciarono i piedi del Pontefice Romano, dalle cui mani il fratello del Re di Francia ricevè lo stendardo dorato del Principe degli Appostoli449; ma per questa visita di divozione e diporto trascurarono di calcolar le stagioni e di procacciarsi quanto era necessario all'imbarco. Perduto inutilmente il verno, i soldati Franchi dispersi per le città dell'Italia corruppersi. Per più riprese si veleggiò senza avere la debita cura alla sicurezza della flotta, e alla dignità de' condottieri. Nove mesi dopo la festa dell'Assunzione, assegnata dal Papa qual giorno della partenza, tutti i Principi latini ne' dintorni di Bisanzo convennero; ma il Conte di Vermandois vi comparve in forma di prigioniero, perchè la tempesta avendo separate le prime navi della sua flotta, i luogotenenti di Alessio, tutte le leggi delle nazioni infrangendo, della persona del principe francese si erano impadroniti. Intanto ventiquattro cavalieri in armadura d'oro splendenti, aveano annunziato l'arrivo di Ugo, e intimato all'Imperatore di rispettare il Generale dei cristiani latini, e il fratello del Re dei Re450.

415I venturieri scriveano lettere intese a confermare tutte queste belle speranze, ad animandos qui in Francia residerant. Ugo di Reiteste vantavasi di avere in sua porzione una abbazia e dieci castella, pretendendo che la conquista di Aleppo altre cento glie ne frutterebbe. (Guibert, p. 554, 555).
416Nella sua lettera, o vera, o falsa, al conte di Fiandra, Alessio fa un miscuglio de' rischi della Chiesa, delle reliquie de' Santi e dello amor auri et argenti et pulcherrimarum faeminarum voluptas (p. 476): come se, montando in collera, osserva Giberto, le donne greche fossero più belle delle francesi.
417V. i privilegi de' Crucesignati, immunità da' debiti, usure, ingiurie, braccio secolare ec. Essi erano sotto la perpetua salvaguardia del Papa (Ducange, t. II, p. 651, 652).
418Facevano bene a procacciarsi denari, perchè non dobbiam sempre attendere miracoli. (Nota di N. N.)
419Giberto (p. 481) offre una pittura vivacissima di questa frenesia generale. Egli era nel picciol numero di que' suoi contemporanei, capaci di esaminare e apprezzare con freddezza di mente la scena straordinaria che innanzi agli occhi accadeagli: Erat itaque videre miraculum caro omnes emere, atque vili vendere, ec.
420Per quanto grande fosse il fanatismo, e la cecità degli uomini in quel tempo, bisognava che l'Autore non solamente citasse cotesta specie di pagamento, ma lo provasse con qualche esempio particolare. (Nota di N. N.)
421Trovansi nell'opera (Esprit des Croisades, t. III, p. 169, ec.) intorno a questi stigmi alcune particolarità tolte da autori ch'io non ho confrontati.
422Fuit et aliud scelus detestabile in hac congregatione pedestris populi, stulti et vesanae levitatis, anserem quemdam divino spiritu asserebant afflatum, et capellam non minus eodem repletam; et hos sibi duces secundae viae fecerant, ec. (Alberto d'Aix, l. I, c. 31, p. 169). Se cotesti contadini fossero stati fondatori di un impero, vi avrebbero potuto introdurre, come in Egitto, il culto degli animali che la filosofia de' lor discendenti avrebbe giustificato sotto il velo di qualche sottile e speciosa allegoria.
423Beniamino di Tudela descrive lo stato de' suoi confratelli ebrei, dimoranti sulle rive del Reno, partendosi da Colonia; questi erano ricchi, generosi, istrutti, benefici, e l'arrivo del Messia con impazienza aspettavano (Viaggi t. I, p. 243-245, di Baratier). Ebbero d'uopo di un periodo di settanta anni (egli scrivea verso l'anno 1170) per rilevarsi dopo le perdite e le stragi sofferte.
424Lo spogliamento e le strage degli Ebrei che per ogni Crociata rinnovellavansi, vengono dipinti come cose indifferenti dagli storici di quella età. Vero è che S. Bernardo (epist. 363, t. I, p. 329) avverte i Francesi orientali che non sunt Judaei persequendi, non sunt trucidandi. Ma un frate, rivale di S. Bernardo, predicava un'affatto opposta dottrina.
425V. la Descrizione contemporanea dell'Ungheria in Ottone di Freysingen (l. II, c. 31) e nel Muratori (Script. rerum ital., t. VI, p. 665, 666.).
426Gli antichi Ungaresi, senza eccettuarne Turotzio, sono male istrutti della prima Crociata, che, secondo essi, si ridusse a passar tutta per un sol luogo. Il Katona, costretto, come noi, a citare gli scrittori francesi confronta però con cognizione de' luoghi l'antica e la moderna geografia. Ante portam Cyperon est Sopron o Poson, Mallevilla, Zemlim, Fluvius Maroe, Sava; Lintax, Leith; Mesebroche vel Merseburg, Onar, o Moson; Tollemburg, Praga (De regibus Hungar., t. III, p. 19-93).
427Anna Comnena (Alexias, l. X, p. 287) descrive questo οσων κολωνος, monte d'ossa, υψηλον και βαθος και πλατος και πλατος αξιολογωτατον, alto e scosceso e largo, degnissimo di memoria; i Franchi medesimi, all'assedio di Nicea, se ne prevalsero per fabbricare un muro.
428Trovansi alla successiva p. 301 in un picciolo specchio i rimandi particolari agli Storici che scrissero i grandi avvenimenti della prima Crociata.
429L'autore dello Esprit des Croisades ha poste in dubbio, e avrebbe anche potuto negare a suo grado, la crociata e la tragica morte del Principe Svenone, e de' suoi mille cinquecento, o quindicimila Danesi trucidati in Cappadocia dal sultan Solimano; ne ha conservata a bastanza la memoria il Tasso nell'ottavo suo canto.
430Gli avanzi del regno di Lotharingia, o Lorena, vennero divisi in due Ducati, della Mosella, e della Mosa; il primo ha conservato il suo nome; l'altro ha acquistato quello di Ducato del Brabante. (Valois, Notit. Gall., p. 283-288).
431V. nella Descrizione della Francia, dell'abate di Longuerue gli articoli intorno a Bologna (part. I, p. 47, 48, Bouillon; p. 134). Nell'atto di sua partenza Goffredo diede in pegno alla Chiesa il Ducato di Buglione, ottenendone tredicimila marchi.
432V. in Guglielmo di Tiro (l. IX, c. 5-8), il carattere di Buglione; il suo antico divisamento, in Giberto (p. 485); l'infermità, e il voto ch'ei fece, in Bernardo il Tesoriere (c. 78).
433Anna Comnena suppone che Ugo ostentasse nascita, potenza e ricchezze (l. X, p. 288); i due ultimi articoli potevano forse a qualche contestazione esser soggetti, ma una ευγενεια, nobiltà celebre, più di settecent'anni addietro nella reggia di Costantinopoli, attestava come antica fosse in Francia la dignità de' Capeti.
434V. Guglielmo Gometicense (l. VII, c. 7, p. 672,673, in Camdem Normannicis). Roberto impegnò il Ducato di Normandia per un centesimo di quanto ne è rendita annuale a' dì nostri. Diecimila marchi possono valutarsi un mezzo milione di lire, e la Normandia oggigiorno paga ogn'anno al Re cinquantasette milioni (Necker, Administ. des finances, t. I, p. 287).
435La lettera che Stefano scrisse a sua moglie trovasi, inserita nello Spicilegium di Dom Luc d'Acheri (t. IV), e citata nello Esprit des Croisades (t. I, p. 65).
436Unius enim, duum, trium seu quatuor oppidorum dominos quis numeret? Quorum tanta fuit copia, ut non vix totidem Trojana obsidio coegisse putetur. Così esprimesi Giberto colla sua sempre dilettevole vivacità. (p. 486).
437È cosa straordinaria che Raimondo di San Gille, personaggio secondario nella Storia delle Crociate, sia dagli scrittori greci ed arabi collocato a capo degli eroi di questa spedizione (Anna Comnena, Alex. l. X, XI, e Longuerue, p. 129).
438Omnes de Burgundia et Alvernia, et Vescovania et Gothi (di Linguadoca) provinciales appellabantur, coeteri vero Francigenae et hoc in exercitu; inter hostes autem Franci dicebantur. (Raimondo d'Agiles, p. 144.)
439La città natalizia, ossia il primo appannaggio di questo Raimondo, era dedicata a sant'Egidio, il nome del qual Santo, ai giorni della prima Crociata, i Francesi convertirono nell'altro di Saint-Gilles o Saint-Giles (san Gille). Situata nella Bassa Linguadoca, fra Nimes e il Rodano, questa città, vanta una Collegiata di cui lo stesso Raimondo è stato il fondatore (Mélanges tirés d'une grande Bibliothèque, t. XXXVII, p. 51).
440Erano genitori di Tancredi il marchese Odone il Buono, ed Emma, sorella del gran Roberto Guiscardo. Fa maraviglia che la patria di un tanto illustre personaggio sia sconosciuta. Il Muratori, con molta probabilità, lo presume italiano, e forse della stirpe de' marchesi di Monferrato nel Piemonte (Script., t. V, p. 281, 282).
441Per compiacere la puerile vanità della Casa d'Este[*] il Tasso ha inserito nel suo poema, e nella prima Crociata un eroe favoloso, il valente e innamorato Rinaldo. Forse ei prese ad imprestito questo nome da un Rinaldo decorato dell'Aquila bianca estense, che vinse l'Imperatore Federico I (Storia imperiale di Ricobaldo, nel Muratori, Script. Ital., t. X, p. 360; Ariosto, Orlando furioso); ma primieramente la distanza di sessant'anni fra la gioventù de' due Rinaldi, distrugge la loro identità; in secondo luogo, la Storia imperiale è una invenzione del Conte Boiardo, architettata sul finire del secolo XV (Muratori, p. 281-289). Per ultimo questo secondo Rinaldo e le sue imprese, non sono men favolose di quelle dell'altro Rinaldo cantato dal Tasso (Muratori, Antichità estensi, t. I, p. 350). * Più antica di Virgilio, il quale assegna per antenati ad Augusto i pronipoti di Venere, figlia di Giove, è la compiacenza dei potenti nel veder immortalate le loro prosapie dal canto de' sommi poeti; e meglio che puerile potremmo chiamarla, una vanità ingenita nella natura umana. Nel caso particolare poi, chi conosce la vita e le sfortune del Tasso, potrà facilmente persuadersi che la finzione da esso inventata ad onore di una famiglia, la quale non manca d'uomini illustri, anche senza ricorrere a finzioni, gli fu suggerita da desiderio di rendersi accetto ai suoi padroni, anzichè da una brama da essi spiegata di voler essere onorati in tal guisa. (Nota dell'Editore)
442Due etimologie vengono assegnate alla parola gentilis, gentiluomo. L'una deriva dai Barbari del quinto secolo prima arrolatisi come soldati, divenuti indi conquistatori dell'Impero Romano, i quali dalla loro straniera origine traevano vanità. L'altra dall'opinione de' giureconsulti che hanno per sinonimi i vocaboli gentilis ingenuus. Alla prima etimologia inclina il Selden; la seconda più spontanea, è anche la più probabile.
443Framea scutoque juvenem ornant. Tacito, Germania, c. 13.
444Gli esercizj degli atleti, soprattutto il cesto e il pancrazio, vennero biasimati da Licurgo, da Filoppemene e da Galeno, vale a dire da un legislatore, da un Generale e da un medico. Contro la censura di questi il lettore può leggere la difesa che ne ha fatto Luciano nell'elogio di Solone (V. West, sui Giuochi olimpici nel suo Pindaro, v. II, p. 86-96, 245-248).
445Nelle opere del Selden (t. III, part. I. I Titoli di onore: part. II, c. 1-3, 5-8) trovansi molto estese descrizioni intorno la cavalleria, il servigio dei cavalieri, la nobiltà, il grido di guerra, gli stendardi e i tornei. V. anche il Ducange (Gloss. lat. t. IV, p. 398-412 ec., Diss. intorno al Joinville, l. VI, al XII, pag. 127-142, 165-222), e Mémoires de M. de Sainte-Palaye sur la Chevalerie.
446L'opera Familiae dalmaticae del Ducange è arida ed imperfetta; gli storici nazionali troppo moderni e favolosi: troppo lontani e trascurati gli storici greci. Nell'anno 1004, Colomano diede per confini al paese marittimo Salona e Trau (Katona, Hist. crit. t. III, p. 195-207).
447Scodra, presso Tito Livio, sembra essere stata la capitale o la Fortezza di Genzio, re degl'Illirici, arx munitissima, indi non colonia romana (Cellarius, t. I, p. 393-394), che ha preso poi il nome di Iscodar, o Scutari (D'Auville, Géogr. ancien., t. I, p. 164). Il Sangiacco, oggidì Pascià di Scutari, o Sceindeire, era l'ottavo sotto il Beglierbeg di Romania, e somministrava seicento soldati sopra una rendita di settantottomila settecento ottantasette risdaleri. (Marsigli, Stato militare dell'Impero Ottomano p. 128.)
448In Pelagonia castrum haereticum… spoliatum cum suis habitatoribus igne combussere. Nec id eis injuria contigit: quia illorum detestabilis sermo et cancer serpebat, jamque circumjacentes regiones suo pravo dogmate faedaverat (Roberto Mon., p. 36, 37). Dopo avere freddamente raccontato il fatto, l'arcivescovo Baldricco aggiugne come un elogio: Omnes, siquidem illi viatores, Judaeos, haereticos, Saracenos aequaliter habent exosos; quos omnes appellant inimicos Dei (p. 92).
449Αναλαβομενος απο Ρωμης την χρυσην του’ Αγιου Πετρου σημαιαν, levando da Roma tutto l'oro monetato di S. Pietro (Alexiad., l. X, p. 288).
450Ο Βασιλευς των Βασιλεων, και αρχηγος του Φραγγικου στρατεματος απαντος, Re dei Re, e generalissimo di tutto l'esercito Franco: pompa orientale, che è ridicola in un conte di Normandia; ma il Ducange, compreso da patrio zelo (Not. ad Alexiad., p. 352, 353; Dissert. sopra Joinville p. 315) ripete con compiacenza i passi di Mattia Paris (A. D. 1254), e di Froiss (vol. IV, pag. 201) che attribuiscono al re di Francia i titoli di rex regum, o di chef de tous les rois chrétiens.