Sadece Litres-də oxuyun

Kitab fayl olaraq yüklənə bilməz, yalnız mobil tətbiq və ya onlayn olaraq veb saytımızda oxuna bilər.

Kitabı oxu: «Il Comento alla Divina Commedia, e gli altri scritti intorno a Dante, vol. 3», səhifə 17

Şrift:

L’allegorie le quali in questo canto sono, cioè il supplicio di quelle anime dannate, con le quali l’autor mostra che lungamente parlasse, sono una medesima cosa con quella, la quale è nel canto quindicesimo, precedente a questo, e ancora con quella che è nel quattordicesimo; delle quali, percioché d’una medesima qualitá sono con quella che ancora è a recitare, e che è nel canto seguente, come altra volta di sopra è detto, si riserva a dimostrare dove appresso della terza spezie di coloro che a Dio e alle sue cose fanno violenza si tratterá: e però qui non curo dirne alcuna cosa. Appresso, quello che nella fine del presente canto si discrive della corda data a Virgilio dall’autore, e dello animale che, per lo cenno da Virgilio fatto, venne sopra ’l fiume, percioché ad un medesimo fine aspetta con quella fiera della quale l’ autor tratta nel principio del seguente canto, per non fare d’una medesima materia due diversi sermoni, riserverò a dire dove di quella fiera diremo.

CANTO DECIMOSETTIMO

– «Ecco la fiera con la coda aguzza», ecc. Il presente canto si continua col precedente assai evidentemente, in quanto nella fine del precedente ha dimostrato come, per lo segno fatto da Virgilio, vedesse sotto l’acqua una figura, la qual notando veniva insú, cioè verso la sommitá del fiume; e nel principio di questo dimostra questa figura esser pervenuta a riva. E dividesi il presente canto in tre parti: nella prima discrive la forma della figura venuta; nella seconda dimostra l’afflizione degli usurieri; nella terza dimostra come, salito sopra le spalle di quella figura, insieme con Virgilio fosse passato, e trasportato del settimo cerchio dello ’nferno nell’ottavo. La seconda comincia quivi: «Quivi ’l maestro»; la terza quivi: «Ed io, temendo».

Comincia adunque cosí: – «Ecco la fiera»; chiamala «fiera» dal suo fiero e crudele effetto; «con la coda aguzza», cioè aguta e pugnente piú che alcun ferro, «che passa i monti», cioè le durissime e grandi cose, «e rompe i muri», della cittá e di qualunque fortezza, «e l’armi» (supple) passa e rompe di qualunque fortissimo e ardito cavaliere; «Ecco colei che tutto ’l mondo appuzza», – cioè corrompe e guasta col suo iniquo è fraudolente adoperare. E dice «ecco» demonstrative, percioché, allora quando Virgilio cominciò a parlare, giugneva questa fiera sopra l’acqua del fiume dal lato loro. «Si cominciò», come detto è, «lo mio duca a parlarmi». Poi dice: «Ed accennolle», poi che cosí ebbe detto, «che venisse a proda», cioè sopra la riva del fiume, «Vicino al fin de’ passeggiati marmi». Pon qui la spezie per lo genere, cioè «marmi» per «pietre»: è il marmo, come noi veggiamo, una spezie di pietra bianchissima e forte. E dice «passeggiati marmi», percioché, passeggiando, eran venuti su per l’argine del fiume infin quivi; il qual argine ha di sopra dimostrato che era divenuto pietra: vuol dunque qui dire che Virgilio le fece cenno che ella venisse insino al luogo dove essi, passeggiando, erano pervenuti.

«E quella sozza immagine di froda». Manifesta l’autore qui di che cosa questa fiera fosse immagine, e dice che era «di froda»: la qual froda che cosa sia si dimostrerá appresso. «Sen venne», per lo cenno fattole da Virgilio, «ed arrivò», cioé mise sopra la riva, «la testa e ’l busto», cioè il rimanente del corpo; «Ma ’n su la riva non trasse la coda»; e cosí mostra che quella si rimanesse coperta nell’acqua.

«La faccia sua», di questa fiera, «era faccia d’uom giusto, Tanto benigna», mansueta e piacevole, «avea di fuor la pelle», cioè l’apparenza; «E d’un serpente» era «tutto l’altro fusto», della persona di questa fiera. «Due branche», cioè due piedi artigliati, come veggiamo che a’ dragoni si dipingono, «avea pelose infin l’ascelle», cioè infino sotto le ditella; «Lo dosso e ’l petto ed amendue le coste», cioè tutto il corpo, fuor che la testa e ’l collo e la coda, «Dipinte avea», ornate, come naturalmente hanno molti animali, «di nodi», cioè di composti, li quali parevano nodi, «e di rotelle», di figure ritonde.

«Con piú color sommesse e sopraposte», a variazion dell’ornamento, «Non fer mai drappi tartari né turchi», li quali di ciò sono ottimi maestri, si come noi possiam manifestamente vedere ne’ drappi tartareschi, li quali veramente sono si artificiosamente tessuti, che non è alcun dipintore che col pennello gli sapesse fare simiglianti, non che piú belli.

Sono i tartari......... .............

IV
ARGOMENTI
IN TERZA RIMA
ALLA “DIVINA COMMEDIA”
DI DANTE ALIGHIERI

ALL’INFERNO

 
«Nel mezzo del cammin di nostra vita»,
smarrito in una valle l’autore,
e la sua via da tre bestie impedita,
 
 
Virgilio, dei latin poeti onore,
5da Beatrice gli apparve mandato
liberator del periglioso errore.
 
 
Dal qual poi che aperto fu mostrato
a lui di sua venuta la cagione,
e ’l tramortito spirto suscitato,
 
 
10senza piú far del suo andar quistione,
dietro gli va, ed entra in una porta
ampia e spedita a tutte persone.
 
 
Adunque, entrati nell’aura morta,
l’anime triste vider di coloro
15che senza fama usâr la vita corta;
 
 
io dico de’ cattivi: eran costoro
da moscon punti, e senza alcuna posa
correndo givan, con pianto sonoro.
 
 
Quindi, venuti sopra la limosa
20riva d’un fiume, vide anime assai,
ciascuna di passar volenterosa.
 
 
A cui Caròn: – Per qui non passerai! —
di lontan grida; appresso, un gran baleno
gli toglie il viso e l’ascoltar de’ guai.
 
 
25Dal qual tornato in sé, di stupor pieno,
di lá da l’acqua in piú cocente affanno,
non per la via che l’anime teniéno,
 
 
si ritrovò; e quindi avanti vanno,
e pargoletti veggon senza luce
30pianger, per l’altrui colpa, eterno danno.
 
 
Dietro alle piante poi del savio duce
passa con altri quattro in un castello,
dove alcun raggio di chiarezza luce.
 
 
Quivi vede seder sovr’un pratello
35spiriti d’alta fama, senza pene,
fuor che d’alti sospiri, al parer d’ello.
 
 
Da questo loco discendendo, viene
dove Minós esamina gli entranti,
fier quanto a tanto officio si conviene.
 
 
40Quivi le strida sente e gli alti pianti
di quei che furon peccator carnali,
infestati da venti aspri e sonanti,
 
 
dove Francesca e Polo li lor mali
contano. E quindi Cerbero latrante
45vede sopra a’ gulosi, infra li quali
 
 
Ciacco conosce; e, procedendo avante,
truova Plutone, e’ prodighi e gli avari
vede giostrar con misero sembiante.
 
 
Che sia Fortuna e la cagion de’ vari
50suoi movimenti Virgilio gli schiude:
e, discendendo poi con passi rari,
 
 
truovan di Stige la nera palude,
la qual risurger vede di bollori,
da’ sospir mossi d’alme in essa nude,
 
 
55dove gli accidiosi peccatori,
e gl’iracundi, gorgogliando in quella,
fanno sentir li lor grevi dolori.
 
 
Sopra una fiamma poi doppia fiammella
subito vede, ed una di lontano
60surgere ancora e rispondere ad ella.
 
 
Quivi Flegias, adirato, il pantano
oltre gli passa, nel qual vede strazio
far di Filippo Argenti, e non invano.
 
 
E appena era di tal mirare sazio,
65ch’a piè della cittá di Dite giunti,
senza esser lor d’entrarvi dato spazio,
 
 
si vide, e quindi da disdegno punti
per la porta serrata lor nel petto
da li spiriti piú da Dio disiunti.
 
 
70E mentre quivi stavan con sospetto,
le tre Furie infernai sovra le mura
Tesifon, vider, Megera ed Aletto.
 
 
Appresso, acciò che l’orribil figura
del Gorgon non vedesse, il buon maestro
75gli occhi gli chiuse, e fennegli paura.
 
 
Di scender poi per lo cammin silvestro,
per cui la porta subito s’aprio,
mostra, e ’l passare a loro in quella, destro.
 
 
Quivi dolenti strida ed alte udio,
80che de’ sepolcri uscivano affocati,
de’ qual pieno era tutto il loco rio:
 
 
in quegli essere intese i trascutati
eresiarci, e tutti quelli ancora
ch ’a Epicuro dietro sono andati.
 
 
85Lì, ragionando, picciola dimora
con Farinata e con un altro face,
ch’alquanto a l’arca pareva di fora.
 
 
Disegna poi come lo ’nferno giace,
da indi in giú, distinto in tre cerchietti,
90e poi dimostra con ragion vivace
 
 
perché dentro alle mura i maladetti
spiriti sien di Due, e nel suo cerchio,
piú che color che ha di sopra detti.
 
 
Centauri truova poi sovr’al coperchio
95d’un’altra valle sovra Flegetonte,
nel qual chi fe’ al prossimo soverchio
 
 
bollir vede per tutto; e perché cónte
le vie salvagge, a passar la riviera
Nesso gli fa della sua groppa ponte.
 
 
100Oltre passati, in una selva fiera
di spirti, in bronchi noderosi e torti
mutati, entraron per via straniera.
 
 
Tutti se stessi i miseri avien morti,
che li piangean, divenuti bronconi;
105dove gli fe’ Pier delle Vigne accorti
 
 
delle dolenti lor condizioni
e delle sue; e nella selva stessa,
dopo gli uditi miseri sermoni,
 
 
da nere cagne un’anima rimessa
110vide sbranare, e seppe a tal martiro
dannato chi la sustanzia, commessa
 
 
all’util suo, biscazza. E quindi giro
piú giú, dove piovean fiamme di foco,
fuor della selva, sovra un sabbion diro;
 
 
115lá dove Campaneo, curante poco,
vider giacer sotto la pioggia grave
con piú molti arroganti; e ’n questo loco,
 
 
seguendo, mostra con rima soave
d’una statua, ch’ è di piú metalli,
120l’acqua cadere in quelle valli prave,
 
 
e quattro fiumi per piú intervalli
nel mondo occulto fare, infino al punto
piú basso assai che tutte l’altre valli.
 
 
Poi ser Brunetto abbrusciato e consunto
125sotto l’orribil pioggia correr vede,
col quale alquanto, parlando, congiunto,
 
 
di sua futura vita prende fede.
Poi, Guido Guerra e Tegghiaio Aldobrandi,
Iacopo Rusticucci, infino al piede
 
 
130di lui venuti, a’ lor nuovi dimandi
sodisfa presto; e quinci procedette
dove anime trovò con tasche grandi
 
 
sedere a collo, sotto le fiammette,
di loro alcuni a l’arme conoscendo
135stati usurieri, e per tre render sette.
 
 
Poi, sovra Gerion giú discendendo,
in Malebolge vene, ove i baratti
in diece vede, senza pro piangendo.
 
 
De’ quali i primi da dimòn son tratti
140con grandi scoreggiate per lo fondo,
scherniti e lassi, vilmente disfatti;
 
 
lá dove alcun ch’avea veduto al mondo
vi riconobbe, ch’era bolognese,
Venedico, e ruffiano; a cui secondo
 
 
145Iason venia, che tolse il ricco arnese
a’ colchi. E quindi Alesso Interminelli
in uno sterco vide assai palese
 
 
pianger le sue lusinghe; e quindi quelli
che sottosopra in terra son commessi
150per simonia; e li par che favelli
 
 
con un papa Nicola; ed, oltre ad essi,
travolti vede quei che con fatture
gabbarono non ch’altrui, ma se istessi.
 
 
Quindi discendon lá ove l’oscure
155pegole bollon chi baratteria
vivendo fece, e di quelle misture,
 
 
mentre che van con fiera compagnia
di diece diavol, parla un che fu tratto
da Graffiacan per la cottola via,
 
 
160sé navarrese dicendo e baratto;
quinci com’el fuggi delle lor mani
racconta chiaro, e de’ diavoli il fatto.
 
 
Sotto le cappe rance i pianti vani
degl’ipocriti poi racconta, e mostra
165Anna e ’l suo suocer nelli luoghi strani
 
 
crocifissi giacer. Poi, nella chiostra
di Malebolge seguente, brogliare
fra’ serpi vede della gente nostra,
 
 
quivi dannati per lo lor furare:
170Agnolo e ’l Cianfa ed altri e Vanni Fucci;
li quai mirabilmente trasformare,
 
 
dopo nuovi atti, parlamenti e crucci,
e d’uomo in serpe, e poi di serpe in uomo,
in guisa tal, che mai vista non fucci,
 
 
175discrive. E poi chi mal consiglio, comoda,
come Ulisse, in fiamme acceso andando,
vede riprender dattero per pomo.
 
 
Pria con Ulisse, e poscia ragionando
col conte Guido, passa; e, pervenuto
180su l’altra bolgia, vede gente andando
 
 
tutta tagliata sovente e minuto,
per lo peccato della scisma reo
da lor nel mondo falso in suso avuto.
 
 
Lì Maometto fesso discernéo,
185e quel Beltram che giá tenne Altaforte,
e Curio e ’l Mosca, e molti qual potéo.
 
 
Appresso vide piú misera sorte
degli alchimisti fracidi e rognosi,
u’ seppe da Capocchio l’agra morte,
 
 
190e Mirra e Gianni Schicchi e piú lebbrosi
vide, ed i falsator per fiera sete
ritruopichi fumare stando oziosi:
 
 
tra’ quali in quella inestricabil rete
vide Sinón, ed il maestro Adamo
195garrir con lui, come legger potete.
 
 
Quindi, lasciando l’uno e l’altro gramo,
dal mezzo in su gli figli della terra
uscir d’un pozzo vede, ed al richiamo
 
 
del gran poeta intramendue gli afferra
200Anteo, e lor sovr’al freddo Cocito
posa, nel quale in quattro parti serra
 
 
il ghiaccio i traditor: quivi ghermito
Sassol de’ Mascheron nella Caina,
e ’l Camiscion de’ Pazzi, ebbe sentito.
 
 
205oscia nell’Antenora, ivi vicina,
tra gli altri dolorosi vide il Bocca,
e di Gian Soldanier l’alma meschina,
 
 
ed altri molti, ch’ora a dir non tocca,
si come l’arcivescovo Ruggieri,
210ed il conte Ugolino, anima sciocca.
 
 
Piú oltre andando pe’ freddi sentieri,
spiriti truova nella Ptolomea
giacer riversi ne’ ghiacci severi.
 
 
Quivi, racconta, l’alma si vedea
215di Brancadoria e di frate Alberico,
che senza pro de’ frutti si dolea.
 
 
Appresso vede l’Avversario antico
nel centro fitto, e Iuda Scariotto,
e Cassio e Bruto, di Cesar nemico,
 
 
220nell’infima Iudecca star di sotto.
Quindi, pe’ velli del fiero animale
discendendo, e salendo, il duca dotto
 
 
lui di fuor tira da cotanto male
per un pertugio, onde le cose belle
225prima rivide, e per cotali scale
 
 
usciron quindi «a riveder le stelle».
 

AL PURGATORIO

 
«Per correr miglior acqua alza le vele»
qui lo autore, e, seguendo Virgilio,
pe’ dolci pomi sale e lascia il fiele.
 
 
Catón primier, fuor dell’eterno esilio,
5truovano e seco parlan, procedendo;
poi dánno effetto al suo santo consilio.
 
 
Su la marina vede, discendendo
nell’aurora, piú anime sante,
e ’l suo Casella, al cui canto attendendo,
 
 
10mentre l’anime nuove tutte quante
givan con lor, rimorsi da Catone,
fuggendo al monte ne girono avante.
 
 
Incerti quivi della regione,
truovan Manfredi ed altri, che moriro
15per colpa fuor di nostra comunione
 
 
col perder tempo, adequare il martiro
alla lor colpa; e quindi, ragionando,
del solar corso gli solve il desiro
 
 
l’alto poeta sedendosi, quando
20Belacqua vider per negghienza starsi;
e giá levati verso l’alto andando,
 
 
Bonconte ed altri molti incontro farsi
vider, li quali infino all’ultim’ora,
uccisi, a Dio penáro a ritornarsi.
 
 
25Quindi Sordel trovar sol far dimora,
il qual, poi che l’autor molto ha parlato
contro ad Italia, il gran Virgilio onora.
 
 
Poi mena loro in un vallone ornato
d’erbe e di fior, nel qual, cantando, addita,
30a Virgilio Sordello stando allato,
 
 
spiriti d’alta fama in questa vita,
tra’ quai discesi, il Gallo di Gallura
riceve l’autor; quindi, finita
 
 
del di la luce, vede dell’altura
35due angeli con due spade affocate
discender ad aver di costor cura.
 
 
Poscia, dormendo, con penne dorate
gli par che ’n alto un’aquila nel porti
d’infino al foco; quindi, alte levate
 
 
40le luci, spaventato, da’ conforti
fatto sicur di Virgilio, Lucia
gli mostra quivi loro avere scorti.
 
 
Del purgatorio gli addita la via,
dove venuti, qual fosse disegna
45la porta, e’ gradi onde a quel si salía,
 
 
chi fosse il portinaio, che veste tegna,
e quai fosser le chiavi, e che scrivesse
nella sua fronte, e che far si convegna
 
 
a chi passa lá dentro pone expresse.
50E quindi come en la prima cornice
dichiara con fatica si giugnesse;
 
 
ed intagliate in alta parte dice
di quella istorie d’umiltá verace:
poi spirti carchi dall’una pendice
 
 
55vede venir cantando, ed orar pace
per sé e per altrui, purgando quello
che ne’ mortal superbia sozzo face;
 
 
tra’ quali Umberto ed Odorisi, ad ello
appresso, e simil Provinzan Silvani
60piangendo vide sotto il fascio fello.
 
 
Oltre passando pe’ sentieri strani,
sotto le piante sue effigiati
vide gli altieri spiriti mondani.
 
 
Da uno splendido angiolo invitati
65piú leggier salgono al giron secondo,
perché li «P» l’autor trovò scemati.
 
 
Lí alte voci, mosse dal profondo
ardor di caritá, udir volanti
per l’aere puro del levato mondo;
 
 
70e poi che giunti furon piú avanti,
videro spirti cigliati sedere,
vestiti di ciliccio tutti quanti,
 
 
perché la invidia lor tolse il vedere:
Guido del Duca, Sapia e Rinieri
75da Calvol truova lí piangere, e vere
 
 
cose racconta di tutti i sentieri
onde Arno cade, e simil di Romagna;
quindi altri suon sentiron piú severi.
 
 
Ed oltre su salendo la montagna,
80da un altro angelo invitati foro,
parlando dell’orribile magagna
 
 
d’invidia, e dell’opposito, fra loro,
e, di sé tratto andando, vide cose
pacefiche in aspetto; né dimoro
 
 
85fe’ guari in quelle, che ’n caliginose
parti del monte entraron, dove l’ira
molti piangean con parole pietose.
 
 
Quivi gli mostra Marco quanto mira
nostra potenzia sia, e quanto possa
90di sua natura, e quanto dal ciel tira.
 
 
Appresso usciti dall’aria grossa,
imaginando vede crudi effetti
venuti in molti da ira commossa.
 
 
Quivi gl’invia un angel; per che, stretti
95alla grotta amendue, a non salire
dalla notte vegnente fur costretti.
 
 
Posti a sedere incominciaro a dire
insieme dell’amor del bene scemo,
che ’n quel giron s’empieva con martire,
 
 
100dove, sí come noi veder potemo,
distintamente Virgilio ragiona
come si scemi in uno ed altro estremo,
 
 
che sia amor, del quale ogni persona
tanto favella, e come nasca in noi.
105L’abate li di San Zen da Verona
 
 
con altri assai correndo vede poi
e con lui parla, e seguel nell’oscuro
tempo, con altri retro a’ passi suoi,
 
 
come sentendo si rifá maturo
110d’accidia l’acerbo. Indi ne mostra
come, dormendo in sul macigno duro,
 
 
qual fosse vide la nemica nostra,
e come da noi partasi, e, sdormito,
come venisse nella quinta chiostra,
 
 
115fattogli a ciò da uno angel lo ’nvito.
Quivi giacendo assai spiriti truova,
che d’avarizia piangon l’acquisito
 
 
in giú rivolti e, perch’el non sen mova
alcun, legati tutti; e quivi parla
120con un papa dal Fiesco; appresso pruova
 
 
l’onesta povertá, ed a lodarla
Ugo Ciappetta induce, i cui nepoti
nascer dimostra tutti atti a schifarla,
 
 
pien d’avarizia e d’ogni virtú vòti;
125e come poscia contro alla nequizia,
passato il dí, cantando, vi si noti.
 
 
Quindi, per tutto, novella letizia,
ed il monte tremare infino al basso
dimostra, mosso da vera giustizia.
 
 
130Qui truova Stazio non a lento passo
salire in su, al qual Virgilio chiede
della cagion del triemito del sasso.
 
 
la quale Stazio assegna; indi succede
al priego suo ancora a nominarsi.
135Quindi, com’uom ch’appena quel che vede
 
 
crede, dichiara Stazio avanti farsi
ad onorar Virgilio, e gli fa chiaro
lui, per contrario peccato agli scarsi,
 
 
aver per molti secoli l’amaro
140monte provato. E giá nel cerchio sesto,
parlando insieme, uno albero trovâro
 
 
donde una voce lor disse il modesto
gusto di molti; e, piú propinqui fatti,
chiaro s’avvider ch’ogni ramo in questo
 
 
145albero è vòlto in giú, e d’alto tratti
vider cader liquor di foglia in foglia,
e sotto ad esso spirti macri e ratti
 
 
vider venir piú che per altra soglia
dell’erto monte, e pure in sú la vista
150alli pomi tenean, che sí gl’invoglia.
 
 
Cosí andando infra la turba trista,
raffigurollo l’ombra di Forese:
con lui favella; e della gente mista
 
 
piú riconobbe, e, tra gli altri, il lucchese
155Bonagiunta Orbiccian; poi una voce
all’albero appressarsi lor difese.
 
 
Un angel quinci al martiro che cuoce
gl’invita, ed essi, per l’ora che tarda
era, ciascun n’andava sú veloce,
 
 
160mostrando Stazio a lui, se ben si guarda,
nostra generazione, e come l’ombra
prenda sembianza di corpo bugiarda,
 
 
e come sia da passione ingombra:
e, sí andando, pervennero al foco,
165prima che ’l santo monte facesse ombra;
 
 
lungo ’l qual trapassando per un poco
d’un sentieruolo udîr voci nemiche
al vizio di lussuria, ed in quel loco
 
 
piú anime conobbe, che ’mpudiche
170furon vivendo, e Guido Guinizelli
gli mostra Arnaldo in sí aspre fatiche.
 
 
Ma, poi che s’è dipartito da elli,
a trapassar lo foco i cari duci
confortan lui, ch’appena in mezzo a quelli
 
 
175il trapassò. Di quindi a l’alte luci
salir gl’invita uno angel che cantava,
pria s’ascondesser li raggi caduci.
 
 
Vede nel sonno poi Lia che s’ornava
di fior la testa, cantando parole
180nelle quali essa chi fosse mostrava.
 
 
Quindi levato nel levar del sole,
Virgilio di sé stesso il fa maestro,
sul monte giunti, e può far ciò che vuole.
 
 
Venuti adunque nel loco silvestro
185truova una selva, ed in quella si spazia
su per lo lito di Letè sinestro.
 
 
Vede una donna, che a lui di grazia
parla e con verissime ragioni:
del fiume il moto e dell’aura il sazia.
 
 
190Di quinci a vie piú alte ammirazioni
venuto, sette candelabri e molte
genti precedere un carro, i timoni
 
 
del qual traeva, con l’alie in sú vòlte,
un grifon d’oro, quanto uccel vedeasi,
195l’altro di carne, alle cui rote accolte
 
 
da ogni parte una danza moveasi
di certe donne, e nel mezzo Beatrice
del tratto carro splendida sedeasi.
 
 
Da cosí alta vista e sí felice
200percosso, da Virgilio con Istazio
esser lasciato lagrimando dice.
 
 
Appresso questo non per lungo spazio,
con agre riprension la donna il morde,
senza aver luogo a ricoprir mendazio;
 
 
205per che le sue virtú quasi concorde
li venner meno, e cadde, né sentisse
pria ch’alle sue orecchi, ad altro sorde,
 
 
pervenne: – Tiemmi; – onde, anzi ch’egli uscisse,
da una donna tratto per lo fiume,
210l’acqua convenne che egli inghiottisse.
 
 
Poi quattro donne, secondo il costume
di loro, il ricevettero, e menârlo
di Beatrice avanti al chiaro lume.
 
 
Qual gli paresse il suo viso, pensarlo
215ciascun che ’ntende può; poi la virtute
gli mancò qui a poter divisarlo.
 
 
I casi avversi appresso, e la salute
della Chiesa di Dio, sotto figmento
delle future come delle sute
 
 
220cose, disegna; poi il cominciamento
di Tigri e d’Eufrate vede in cima
del monte, e con Matelda va contento,
 
 
e con Istazio, ad Eunòe prima;
donde bagnato, e rimenato a quelle
225donne beate, finisce la rima,
 
 
«puro e disposto a salire alle stelle».
 
Yaş həddi:
12+
Litresdə buraxılış tarixi:
01 avqust 2017
Həcm:
360 səh. 1 illustrasiya
Müəllif hüququ sahibi:
Public Domain

Bu kitabla oxuyurlar