Kitabı oxu: «L’ascesa Del Prode », səhifə 3

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“Kyra!”

Kyra si girò e Aidan le corse tra le braccia. Lei lo abbracciò stretto mentre le piccole mani del fratellino si aggrappavano alla sua schiena. Era così bello abbracciare il fratello che era stata certa di non rivedere mai più. Era il pezzetto di normalità che le era rimasto nel vortice che era diventata la sua vita, l’unica cosa che non era cambiata.

“Ho sentito che eri qui,” le disse di corsa, “e ho subito chiesto un passaggio per venire a trovarti. Sono così contento che tu sia tornata.”

Lei sorrise tristemente.

“Temo non per molto, fratello mio,” gli disse.

Un lampo di preoccupazione attraversò il volto di Aidan.

“Stai partendo?” le chiese impietrito.

Il padre si intromise.

“Sta partendo per andare a trovare suo zio,” spiegò. “Lasciala andare ora.”

Kyra notò che suo padre aveva detto suo zio e non vostro, e si chiese il perché.

“Allora vado con lei!” insistette Aidan coraggiosamente.

Suo padre scosse la testa.

“No,” rispose.

Kyra sorrise al fratellino, così coraggioso come sempre.

“Nostro padre ha bisogno di te da qualche altra parte,” gli disse.

“Sul fronte di guerra?” chiese Aidan voltandosi speranzoso verso il padre. “Stai partendo per Esefo,” aggiunse di fretta. “Ho sentito! Voglio venire con te!”

Ma lui scosse la testa.

“C’è Volis per te,” rispose. “Starai qui, protetto dagli uomini che resteranno. Il fronte della battaglia non è posto per te ora. Un giorno.”

Aidan si fece rosso per la delusione.

“Ma io voglio combattere, padre!” protestò. “Non ho bisogno di starmene confinato in qualche forte vuoto con donne e bambini!”

Gli uomini ridacchiarono, ma suo padre era serio.

“La mia decisione è presa,” rispose brevemente.

Aidan si accigliò.

“Se non posso andare con Kyra e non posso venire con te,” disse rifiutandosi di cedere, “allora perché sto imparando come si combatte e come si usano le armi? Ha cosa serve tutto il mio allenamento?”

“Lascia che ti crescano i peli sul petto prima, fratellino,” rise Braxton facendosi avanti insieme a Brandon.

Le risate si levarono tra gli uomini e Aidan arrossì, chiaramente imbarazzato di fronte agli altri.

Kyra, sentendosi male per lui, si inginocchiò davanti a lui e gli mise una mano sulla guancia.

“Sarai un guerriero molto migliore di tutti loro,” lo rassicurò sottovoce in modo che solo lui potesse sentire. “Sii paziente. Nel frattempo sorveglia Volis. C’è bisogno anche di te. Rendimi orgogliosa di te. Tornerò, te lo prometto, e un giorno combatteremo battaglie grandiose insieme.”

Aidan parve ammorbidirsi un poco e si chinò ad abbracciarla di nuovo.

“Non voglio che tu vada via,” le disse sottovoce. “Ho fatto un sogno su di te. Ho sognato…” Sollevò lo sguardo con riluttanza, gli occhi colmi di paura. “… che morivi là fuori.”

Kyra si sentì scioccata a quelle parole, soprattutto dopo aver visto lo sguardo nei suoi occhi. Si sentì oppressa. Non sapeva cosa dire.

Anvin si fece avanti e le mise attorno alle spalle una pesante e spessa pelliccia che la scaldò subito. Kyra si alzò sentendosi quasi cinque chili più pesante, ma era riparata dal vento e dai brividi alla schiena. Sorrise.

“Le tue notti saranno lunghe e i fuochi saranno distanti,” le disse dandole un rapido abbraccio.

Suo padre si fece avanti velocemente e la abbracciò, un abbraccio forte da capitano. Lei ricambiò la stretta, persa tra i suoi muscoli, sentendosi sana e salva.

“Sei mia figlia,” le disse con fermezza, “non dimenticarlo.” Poi abbassò la voce in modo che gli altri non potessero udire e aggiunse: “Ti voglio bene.”

Kyra si sentiva sopraffatta dall’emozione, ma prima di poter rispondere lui si voltò rapidamente e si allontanò. Nello stesso istante Leo piagnucolò e le balzò addosso spingendole il naso contro il petto.

“Vuole venire con te,” disse Aidan. “Prendilo: avrai più bisogno tu di lui che io, qui confinato a Volis. In ogni caso è tuo.”

Kyra abbracciò Leo, incapace di rifiutare dato che sembrava non volerla lasciare. Si sentì confortata dall’idea che venisse con lei, dato che ne aveva sentito fortemente la mancanza. Poteva avere a disposizione altri due occhi e due orecchie e non c’era nessuno di più leale di Leo.

Pronta, Kyra montò in sella ad Andor e gli uomini di suo padre si fecero da parte. Avevano disposto delle torce in suo onore lungo tutto il ponte tenendo lontana la notte e illuminando il sentiero per lei. Guardò oltre e vide il cielo che si oscurava, le terre selvagge davanti a sé. Provava eccitazione, paura e soprattutto un senso di dovere. Una certa finalità. Davanti a lei si trovava l’impresa più importante della sua vita, un’impresa che teneva in ballo non solo la sua identità, ma il destino di tutta Escalon. Non poteva esserci posta più elevata.

Con il bastone legato attorno alla spalla, l’arco dall’altra parte, Leo e Dierdre accanto a lei, Andor sotto di lei e tutti gli uomini di suo padre che la guardavano, Kyra iniziò ad indirizzare Andor verso i cancelli della città. Inizialmente avanzò lentamente, tra le torce, oltre gli uomini, sentendosi come se stesse camminando in un sogno, verso il proprio destino. Non si guardò alle spalle non volendo perdere convinzione. Un basso corno venne fatto suonare dagli uomini di suo padre, un corno di partenza, in suono di rispetto.

Si preparò a spronare Andor, ma lui la anticipò. Si mise prima al trotto e poi ruppe al galoppo.

Nel giro di pochi istanti Kyra si trovò a correre in mezzo alla neve, oltre i cancelli di Argos, sopra al ponte, nei prati aperti, il vento freddo nei capelli e niente davanti a lei se non una lunga strada, creature selvagge e la notte che incombeva buia.

CAPITOLO QUATTRO

Merk correva in mezzo al bosco, barcollando lungo la discesa polverosa, facendosi strada tra gli alberi con le foglie di Boscobianco che scricchiolavano sotto i suoi piedi mentre correva con tutto se stesso. Guardava davanti a sé senza perdere di vista le lontane nubi di fumo che riempivano l’orizzonte oscurando il tramonto rosso sangue. Provava un crescente senso di urgenza. Sapeva che la ragazza si trovava laggiù da qualche parte, probabilmente rischiando di essere assassinata da un momento all’altro, ma non riusciva a far sì che le sue gambe corressero più velocemente.

Sembrava che la necessità di uccidere lo trovasse ovunque, lo incontrasse a ogni svolta, quasi ogni giorno, proprio allo stesso modo in cui gli uomini venivano chiamati a casa per la cena. Aveva un appuntamento con la morte, diceva sempre sua madre. Quelle parole gli risuonavano nelle orecchie e lo avevano perseguitato per tutta la vita. Erano parole che semplicemente si auto-avveravano? O era forse nato sotto una cattiva stella?

Per Merk uccidere era una parte naturale della sua vita, come respirare o pranzare, non importava per chi lo stesse facendo o come. Più ci pensava e più provava un forte senso di disgusto, come se volesse vomitare tutta la sua vita. Ma mentre dentro di sé tutto gli gridava di tornare indietro, di iniziare una nuova vita, di continuare il suo pellegrinaggio verso la Torre di Ur, semplicemente non ci riusciva. Ancora una volta la violenza lo stava convocando e ora non era il momento di ignorare il suo richiamo.

Merk correva, le nuvole di fumo si gonfiavano e si facevano più vicine rendendogli più difficile respirare. L’odore del fumo gli pungeva le narici e una sensazione familiare iniziò ad impossessarsi di lui. Non era paura ma, dopo tutti quegli anni, neppure eccitazione. Era una sensazione di familiarità. Della macchina da guerra che stava per diventare. Questo era sempre ciò che accadeva quando andava in battaglia – la sua battaglia privata. Nella sua versione di battaglia l’avversario veniva ucciso corpo a corpo: non doveva nascondersi dietro a una visiera o a un’armatura o all’applauso di una folla come quei cavalieri mascherati. Dal suo punto di vista si trattava della battaglia più coraggiosa di tutte, riservata ai veri guerrieri come lui.

Eppure mentre correva Merk sentiva qualcosa di diverso. Non gli interessava chi vivesse o morisse, quello era solo un lavoro. Questo gli consentiva di ragionare con chiarezza, libero dall’annebbiamento delle emozioni. Ma questa volta era diverso. Per la prima volta da quando poteva averne memoria nessuno lo stava pagando per farlo. Stava procedendo per sua propria volontà, per nessun’altra ragione che la pietà per quella ragazza e il desiderio di rettificare i torti. Questo lo faceva sentire investito di un compito, e quella sensazione non gli piaceva. Ora rimpiangeva di non aver agito prima e di averla mandata via.

Merk correva con passo regolare, senza portare con sé nessuna arma dato che non ne aveva bisogno. Aveva solo il suo pugnale alla cintura e quello gli bastava. In effetti avrebbe anche potuto non usarlo. Preferiva entrare senza armi nella battaglia: questo prendeva i suoi avversari sempre alla sprovvista. E poi poteva sempre strappare le armi al proprio avversario e usarle contro di lui. Questo lo lasciava con un immediato arsenale ovunque andasse.

Merk uscì di colpo da Boscobianco e gli alberi lasciarono il posto a pianure aperte e colline ondeggianti. Un grande sole rosso lo accolse, ormai basso all’orizzonte. La vallata si apriva davanti a lui, il cielo al di sopra nero, come se arrabbiato, pieno di fumo e in fondo le fiamme infuriavano laddove poteva solo esserci la fattoria della ragazza. Merk poteva sentire da lì le agghiaccianti grida di uomini, criminali le cui voci erano piene di soddisfazione e sete di sangue. Con occhio da professionista scrutò la scena del crimine e li vide subito, una decina di uomini con i volti illuminati dalle torce che tenevano in mano mentre correvano avanti e indietro dando fuoco a ogni cosa. Alcuni correvano dalle stalle alla casa posando le torce su tetti di paglia mentre altri massacravano il bestiame innocente colpendo gli animali con delle accette. Vide che uno di loro trascinava un corpo per i capelli nel fango.

Una donna.

Il cuore di Merk iniziò a battere forte nel cuore chiedendosi se si trattasse della ragazza e se lei fosse viva o morta. La stava trascinando verso quella che sembrava essere la famiglia della ragazza, tutti legati al fienile con delle corde. C’erano il padre e la madre e accanto a loro quelli che sembravano le sue sorelle, entrambe più piccole e giovani di lei. Mentre il vento spostava una nuvola di fumo nero Merk colse uno scorcio dei lunghi capelli biondi della persona trascinata, imbrattati di terra, e capì che era lei.

Merk sentì un’ondata di adrenalina e partì di scatto correndo giù dalla collina. Entrò di corsa nel fango, correndo in mezzo alle fiamme e al fumo riuscendo finalmente a vedere ciò che stava accadendo: i familiari della ragazza, appoggiati alla parete, erano già tutti morti, con le gole tagliate e i corpi accasciati contro il muro. Provò un’ondata di sollievo vedendo che la ragazza che veniva trascinata era ancora viva e opponeva resistenza mentre la tiravano verso la sua famiglia. Vide che uno di quei delinquenti la stava aspettando con un pugnale in mano e capì che sarebbe stata la prossima vittima. Era arrivato troppo tardi per salvare la sua famiglia, ma non troppo tardi per risparmiare lei.

Merk sapeva di dover prendere quegli uomini alla sprovvista. Rallentò il passo e si mise a camminare con calma fino al centro del complesso, come se avesse tutto il tempo del mondo a disposizione, aspettando che lo notassero e intenzionato a confonderli.

Molto presto uno di essi lo vide. Il criminale si voltò immediatamente, scioccato dalla vista di un uomo che camminava con calma in mezzo a tutta quella carneficina, e avvertì i suoi compagni.

Merk percepì tutti gli occhi confusi puntarsi su di lui mentre procedeva, camminando con noncuranza verso la ragazza. L’uomo che la teneva si guardò alle spalle e si fermò vedendolo, lasciando andare la presa e facendola cadere nel fango. Si girò e si avvicinò a Merk insieme agli altri. Tutti quanti lo accerchiarono, pronti a combattere.

“Cos’abbiamo qui?” esclamò l’uomo che sembrava essere il loro capo. Era quello che aveva lasciato cadere la ragazza e non appena aveva messo gli occhi su Merk aveva sguainato una spada dalla cintura e ora si avvicinava mentre gli altri li accerchiavano.

Merk guardava solo la ragazza, controllando e assicurandosi che fosse viva e non ferita. Fu sollevato di vederla agitarsi nel fango, riprendersi lentamente, sollevare la testa e guardarlo stordita e confusa. Merk era sollevato di non essere arrivato troppo tardi almeno per salvare lei. Forse questo era il primo passo sulla lunga strada che lo avrebbe portato alla redenzione. Si rese conto che forse non doveva iniziare nella torre, ma direttamente lì.

Mentre la ragazza si girava nel fango sollevandosi sui gomiti i loro occhi si incontrarono e lui la vide illuminarsi di speranza.

“Uccidili!” gridò.

Merk rimase calmo, sempre camminando con naturalezza verso di lei come se non avesse neppure notato gli uomini attorno a sé.

“Quindi conosci la ragazza?” gli chiese il capo.

“Sei suo zio?” chiese un altro con tono derisorio.

“O un fratello perso da tempo?” rise un altro ancora.

“Sei venuto a proteggerla, vecchio mio?” lo canzonò un altro.

Gli altri scoppiarono a ridere man mano che si avvicinavano.

Senza darlo a vedere Merk stava silenziosamente osservando e considerando tutti i suoi avversari, valutandoli con la coda dell’occhio e determinandone il numero, la grandezza, la velocità alla quale si muovevano, le armi che possedevano. Analizzò quanti muscoli avessero in rapporto al grasso, cosa indossassero, quanta flessibilità avessero in quegli indumenti, quanto rapidamente avrebbero potuto ruotare su quegli stivali. Notò le loro armi – rozzi coltelli, pugnali sguainati, spade poco affilate – e considerò il modo in cui le tenevano, di fianco o davanti a loro, con quale mano.

La maggior parte di essi non erano professionisti e nessuno si preoccupa veramente di lui. A parte uno. Quello con la balestra. Merk si annotò mentalmente di uccidere lui per primo.

Entrò in una zona diversa, in un diverso modo di pensare, di essere, quello che sempre lo afferrava naturalmente ogni volta che si trovava per mano un confronto. Si trovava sommerso nel suo mondo, un mondo sul quale aveva ben poco controllo, un mondo che portava avanti il suo corpo. Era un mondo che gli dettava quanti uomini poteva uccidere e con quale velocità ed efficacia. Come causare il massimo dei danni con il minimo sforzo possibile.

Si sentiva male per quegli uomini: non avevano idea di cosa stessero per affrontare.

“Ehi! Sto parlando con te!” gridò il capo ora ad appena tre metri da lui, puntando la spada e sogghignando.

Ma Merk continuò a camminare senza modificare atteggiamento, calmo e inespressivo. Si stava mantenendo concentrato, ascoltando a malapena le parole del loro capo, ora soffocata nella sua mente. Non avrebbe corso, né mostrato alcun segno di aggressione fino a che non fosse stato il momento giusto e poteva sentire quanto quegli uomini fossero confusi dalla sua mancanza di azione.

“Ehi, ma lo sai che stai per morire?” insistette il capo. “Mi stai ascoltando?”

Merk continuò a camminare con calma mentre l’uomo, infuriato, decise di non aspettare più. Gridò di rabbia, sollevò la spada e si lanciò alla carica puntando alla spalla di Merk.

Merk si prese il suo tempo, senza reagire. Camminò con calma verso il suo aggressore, aspettando fino all’ultimo momento, assicurandosi di non irrigidirsi e di non mostrare alcun segno di resistenza.

Attese fino a quando la spada del suo avversario raggiunse il punto più alto al di sopra della testa dell’uomo, il momento saliente di vulnerabilità di ogni uomo, come tempo prima aveva imparato. E poi, più veloce di quanto il suo nemico potesse prevedere, si lanciò in avanti come un serpente usando due dita per colpire il punto di pressione al di sotto dell’ascella dell’uomo.

Il suo aggressore, con gli occhi strabuzzati per il dolore e la sorpresa, immediatamente lasciò cadere la spada.

Merk si fece più vicino, gli avvolse un braccio attorno al suo e strinse come una morsa. Con lo stesso movimento afferrò l’uomo per la nuca e lo fece ruotare usandolo come scudo. Perché non era quello l’uomo di cui si preoccupava, ma di quello dietro di lui, quello con la balestra. Merk aveva deciso di attaccare prima quel bifolco solo per guadagnarsi uno scudo.

Ruotò e si portò di fronte all’uomo con la balestra che, come aveva previsto, aveva già l’arco puntato contro di lui. Un attimo dopo udì il rumore rivelatore di una freccia scoccata e la vide volare in aria verso di sé. Tenne quindi ben stretto il suo scudo umano che si dimenava.

Si udì un sussulto e Merk sentì il bifolco rabbrividire tra le sue braccia. Il capo gridò di dolore e Merk provò subito lui stesso uno scatto di dolore mentre un coltello gli entrava nello stomaco. Inizialmente si sentì confuso, ma poi capì che la freccia aveva trapassato il corpo del suo scudo umano e la punta era appena entrata anche nel suo ventre. Era penetrata forse solo di mezzo centimetro, non abbastanza da ferirlo seriamente, ma sufficientemente da fargli un male del diavolo.

Calcolando il tempo che ci sarebbe voluto per ricaricare la balestra, Merk lasciò cadere il corpo floscio dell’uomo, afferrò la spada dalla sua mano e la lanciò. Quella ruotò in aria verso il criminale con la balestra e lo fece gridare, strabuzzando gli occhi per lo shock, conficcandoglisi nel petto. Lasciò cadere l’arco e cadde floscio a terra.

Merk si voltò e pose gli occhi sugli altri criminali, tutti chiaramente scioccati. Due dei loro migliori uomini erano morti e ora sembravano insicuri. Si guardarono in un impacciato silenzio.

“Chi sei?” esclamò infine uno di essi con voce nervosa.

Merk sorrise e si scrocchiò le nocche assaporando il combattimento che ci sarebbe stato.

“Io,” rispose, “sono quella cosa che vi tiene svegli la notte.”

CAPITOLO CINQUE

Duncan cavalcava con il suo esercito, il rumore di centinaia di cavalli che gli rimbombava nelle orecchie mentre li conduceva a sud, nel mezzo della notte, lontani da Argos. I suoi fidati comandanti cavalcavano accanto a lui, Anvin da una parte ed Arthfael dall’altra. Solo Vidar era rimasto di guardia a Volis, mentre diverse centinaia di uomini stavano allineati dietro di loro avanzando tutti insieme. Diversamente da altri capitani, Duncan amava cavalcare fianco a fianco con i suoi uomini, non li considerava suoi sudditi, ma piuttosto fratelli d’armi.

Cavalcavano nella notte, il vento fresco nei capelli, la neve sotto i piedi. Era bello muoversi, essere diretti in battaglia, non trovarsi più riparati come codardi dietro le mura di Volis come Duncan aveva fatto per metà della sua vita. Si guardò alle spalle e scorse i suoi figli Brandon e Braxton che cavalcavano insieme ai suoi uomini e sebbene fosse fiero di averli con sé, non si sentiva preoccupato per loro quanto lo fosse per sua figlia Kyra. Nonostante tutto, ora dopo ora, sebbene si ripetesse continuamente di non preoccuparsi, si trovava continuamente a pensare a lei.

Si chiedeva dove fosse adeso. Pensava a quel viaggio attraverso Escalon da sola, solamente con Dierdre, Andor e Leo ad accompagnarla, e il cuore gli doleva nel petto. Sapeva che il viaggio che le aveva fatto intraprendere era del tipo che avrebbe messo in pericolo anche il migliore dei suoi guerrieri. E fosse sopravvissuta sarebbe tornata come un guerriero più forte che mai, migliore di qualsiasi uomo ci fosse con lui adesso. Se non fosse tornata invece non si sarebbe dato pace mai più. Ma tempi disperati richiedevano misure disperate e Duncan aveva bisogno di lei ora più che mai per completare la sua impresa.

Valicarono una collina e ne scesero un’altra. Mentre il vento aumentava Duncan guardò davanti a sé, le grandi pianure distese sotto la luce della luna, e pensò alla loro destinazione: Esefo. La fortezza sul mare, la città costruita sul porto, il punto di incrocio del nord-est il maggior porto per tutte le destinazioni. Era una città che confinava con il Mare delle Lacrime da una parte e un altro porto dall’altra e si diceva che chiunque avesse il controllo su Esefo controllasse una buona metà di Escalon. Era il porto più vicino ad Argos ed era una fortezza vitale: per questo Esefo doveva essere la sua prima tappa se voleva avere una qualche possibilità di mettere insieme una rivoluzione. Quella città un tempo grandiosa andava liberata. Il suo porto, in passato orgogliosamente pieno di navi con la bandiera di Escalon ora era colmo di imbarcazioni pandesiane, un umile ricordo di ciò che era stato un tempo.

Duncan e Seavig, il signore di Esefo, erano stati amici un tempo. Erano andati in battaglia insieme come fratelli d’armi innumerevoli volte e Duncan aveva navigato con lui più di una volta. Ma dall’invasione si erano persi di vista. Seavig, un tempo un valoroso capitano, ora era un umile soldato incapace di solcare i mari, incapace di governare una città o visitare altre fortezze come altri capitani. Poteva anche darsi che lo tenessero detenuto e lo avessero etichettato come prigioniero come tutti gli altri capitani di Escalon.

Duncan cavalcava nella notte, le colline illuminate solo dalle torce dei suoi uomini, centinaia di lampi di luce diretti verso sud. Mentre avanzavano la neve cadeva e il vento infuriava e le torce restavano accese a fatica mentre la luna lottava per fare capolino tra le nuvole. Ma l’esercito di Duncan andava avanti guadagnando terreno. Quegli uomini sarebbero andati ovunque sulla faccia della terra per lui. Duncan sapeva che era insolito attaccare di notte, tanto più con la neve, ma lui era sempre stato un guerriero poco convenzionale. Questo gli aveva permesso di distinguersi tra i ranghi e diventare il primo comandante del vecchio re; questo lo aveva portato ad avere una fortezza tutta per sé. E sempre questo lo aveva fatto diventare uno dei più rispettati tra i capitani dispersi. Duncan non faceva mai ciò che facevano gli altri. C’era un motto che cercava di seguire nella sua vita: fare ciò che gli altri meno si aspettano.

I Pandesiani non si sarebbero mai aspettati un attacco dato che la notizia della rivolta di Duncan non poteva essersi diffusa verso sud così rapidamente, non se Duncan fosse arrivato in tempo. E sicuramente non si sarebbero mai aspettati un attacco di notte, meno che meno in mezzo alla neve. Conoscevano i rischi del viaggiare di notte, di cavalli che si rompevano le gambe e di una miriade di altri problemi. Duncan sapeva bene che le guerre erano spesso vinte più per sorpresa e velocità che per effetto di forza.

Duncan aveva programmato di viaggiare tutta la notte fino a raggiungere Esefo, di cercare di conquistare il vasto forte pandesiano e riprendere quella grandiosa città con le sue poche centinaia di uomini. E se avessero preso Esefo allora forse avrebbe guadagnato slancio per cominciare la guerra e riconquistare tutta Escalon.

“Laggiù!” gridò Anvin indicando nella neve.

Duncan abbassò lo sguardo nella vallata di sotto e scorse, in mezzo alla neve e alla nebbia, numerosi piccoli villaggi che punteggiavano la campagna. Sapeva che quei villaggi erano abitati da coraggiosi guerrieri leali ad Escalon. Ciascuno di loro aveva sicuramente una manciata di uomini, ma tutti insieme avrebbero fatto numero. Avrebbe potuto acquistare slancio e rimpinguare i ranghi del suo esercito.

Duncan gridò al di sopra del vento e del rumore dei cavalli per farsi sentire.

“Fate suonare i corni!”

I suoi uomini suonarono una serie di corni, l’antico grido di raccolta di Escalon, un suono che gli scaldava il cuore, un suono che ad Escalon non si sentiva da anni. Era un suono che sarebbe stato familiare ai suoi compagni della campagna, un suono che avrebbe detto loro ciò che avevano bisogno di sapere. Se c’erano dei brav’uomini in quel villaggio, quel suono li avrebbe smossi.

I corni suonarono ripetutamente e mentre si avvicinavano lentamente nei villaggi vennero accese delle torce. I paesani allertati dalla loro presenza, iniziarono a scendere nelle strade con le torce che baluginavano nella neve. Gli uomini si vestirono frettolosamente, afferrarono le loro armi e si misero le rozze armature che avevano. Guardarono tutti verso la collina e videro Duncan e i suoi uomini che si avvicinavano facendo loro segno come se pieni di domande. Duncan poteva solo immaginare l’effetto prodotto dalla vista dei suoi uomini che galoppavano nel fitto della notte, nella tempesta di neve, scendendo la collina e sollevando centinaia di torce come una legione di fuoco che combatteva la neve.

Duncan e i suoi raggiunsero il primo villaggio e si fermarono, le loro torce che illuminavano i volti sorpresi. Duncan guardò i volti speranzosi di quegli uomini e mostrò il suo più feroce sguardo da battaglia, preparandosi ad ispirare i suoi seguaci come mai prima d’ora.

“Uomini di Escalon!” disse con voce tonante facendo rallentare i cavalli al passo e girando attorno nel tentativo di rivolgersi a tutti mentre gli si raccoglievano attorno.

“Abbiamo sofferto troppo a lungo sotto l’oppressione di Pandesia! Potete scegliere di stare qui e continuare a vivere in questo villaggio ricordando la Escalon di un tempo. Oppure potete insorgere da uomini liberi e aiutarci ad iniziare la grande guerra per la libertà!”

Si levò un grido di gioia tra gli abitanti del villaggio che all’unanimità corsero in avanti.

“I Pandesiani adesso stanno prendendo le nostre ragazze!” gridò un uomo. “Se questa è libertà, allora non so cosa significhi!”

Tutti esultarono.

“Siamo con te, Duncan!” gridò un altro. “Andremo con te verso la nostra morte!”

Si levò un altro grido di gioia e gli uomini corsero a montare sui loro cavalli e si unirono al suo esercito. Duncan, soddisfatto per la crescita dei suoi ranghi, spronò il cavallo e continuò a cavalcare uscendo dal villaggio e iniziando a rendersi conto da quanto tempo Escalon aspettasse una rivolta.

Presto raggiunsero un altro villaggio, gli uomini già fuori in attesa con le torce accese da quando avevano sentito i corni suonare e le grida e avevano visto l’esercito crescere capendo all’istante cosa stesse succedendo. I paesani del luogo si chiamavano tra loro riconoscendosi l’un l’altro e capendo cosa stava accadendo senza bisogno di altre parole. Duncan passò attraverso quel villaggio e non ci volle nessuno sforzo per convincere gli uomini – troppo desiderosi di libertà, troppo desiderosi di avere la propria dignità rinnovata – a montare a cavallo, afferrare le loro armi e unirsi ai ranghi di Duncan, ovunque dovesse portarli.

Duncan passò di villaggio in villaggio coprendo tutta la campagna, illuminando la notte, nonostante il vento, nonostante la neve, nonostante il buio della notte. Il loro desiderio di libertà era troppo forte per fare qualcosa di diverso dall’illuminare la notte più buia, imbracciare le armi e riconquistarsi le proprie vite.

*

Duncan cavalcava nella notte conducendo il suo esercito verso sud, le mani screpolate e intorpidite per il freddo mentre stringeva le redini. Più avanzavano verso sud, più il terreno iniziava a cambiare e il freddo di Volis veniva sostituito dal fresco umido di Esefo, l’aria pesante che Duncan ricordava, pregna dell’umidità del mare e dell’odore del sale. Gli alberi erano più bassi qui, piegati dal vento, tutti apparentemente piegati dalle raffiche orientali che non cessavano mai.

Valicarono una collina dopo l’altra. Le nuvole si fecero da parte nonostante la neve e la luna apparve nel cielo brillando su di loro e illuminando tutta la strada davanti a loro fino a dove riuscivano a vedere. Cavalcavano, guerrieri contro la notte, ed era una notte che Duncan avrebbe ricordato, lo sapeva bene, per il resto della sua vita. Sempre ammesso che fosse sopravvissuto. Quella sarebbe stata la battaglia dalla quale tutto dipendeva. Pensò a Kyra, alla sua famiglia, alla sua casa. Non voleva perderle. La sua vita era in linea insieme alle vite di tutti coloro che conosceva e amava ed era pronto a rischiare tutto quella notte.

Duncan si guardò alle spalle e fu felice di vedere che aveva raccolto parecchie centinaia di uomini, tutti che procedevano insieme verso uno scopo comune. Sapeva che anche con quei numeri si sarebbero trovati in estrema minoranza, di fronte a un esercito di professionisti. Migliaia di Pandesiani si trovavano ad Esefo. Duncan sapeva che Seavig aveva ancora centinaia dei suoi uomini allontananti dall’esercito a sua disposizione, ovviamente, ma non si poteva sapere se avrebbe rischiato tutto per unirsi a lui. Duncan pensava che non l’avrebbe fatto.

Presto si trovarono in cima all’ennesima collina e subito si fermarono tutti senza il bisogno di riceverne ordine. Perché lì in basso si distendeva il Mare delle Lacrime con le onde che si infrangevano contro la costa; il grande porto e la città di Esefo accanto ad esso. Sembrava che la città fosse stata costruita nel mare e le onde andavano a sbattere contro le sue mura di pietra. La città dava il retro alla vallata e si affacciava sul mare, con cancelli e inferriate che affondavano nell’acqua, più preoccupati di accogliere navi piuttosto che cavalli.

Duncan studiò il porto, le innumerevoli navi che lo gremivano, e fu imbarazzato di vedere che tutte portavano l’insegna di Pandesia, il giallo e blu issati come un’offesa al suo cuore. Al vento sventolava l’emblema di Pandesia – un teschio nel becco di un’aquila – il che fece venire a Duncan la nausea. Il vedere una città così grandiosa tenuta prigioniera dai Pandesiani era fonte di vergogna per Duncan e anche nel buio della notte le sue guance avvamparono. Le navi stavano lì quasi compiacenti, ancorate al sicuro, nessuna nell’aspettativa di un attacco. Naturale. Chi avrebbe mai osato attaccare? Soprattutto nel buio della notte e nel mezzo di una tempesta di neve?

Duncan percepì tutti gli occhi dei suoi uomini puntati su di lui e capì che il suo momento della verità era sopraggiunto. Aspettavano tutti il suo ordine fatidico, quello che avrebbe cambiato per sempre il destino di Escalon. Rimase sul suo cavallo, con il vento che ululava, sentendo il destino che traboccava in lui. Sapeva che quello era uno di quei momenti che avrebbe definito la sua vitae le vite di tutti quegli uomini.

3,85 ₼
Yaş həddi:
16+
Litresdə buraxılış tarixi:
10 sentyabr 2019
Həcm:
313 səh. 6 illustrasiyalar
ISBN:
9781632913326
Müəllif hüququ sahibi:
Lukeman Literary Management Ltd
Yükləmə formatı:
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