Le avventure dei Principi Amir & Akhmed. Il Diaspro rosso e la strega Luthien

Mesaj mə
0
Rəylər
Fraqment oxumaq
Oxunmuşu qeyd etmək
Le avventure dei Principi Amir & Akhmed. Il Diaspro rosso e la strega Luthien
Şrift:Daha az АаDaha çox Аа

Illustrator Александра Хомякова

© Roberto Borzellino, 2022

© Александра Хомякова, illustrations, 2022

ISBN 978-5-0055-9341-2

Created with Ridero smart publishing system

Capitolo primo

ASTAGATT E LA FORESTA DEGLI INGANNI

In una lontana e sperduta isola dell’oceano Pacifico chiamata Astagatt, viveva il re Mohammed Pascià Sultan, con la sua famiglia, la regina Adeela e i loro due figli maschi: i principi Amir e Akhmed. Il re governava i suoi sudditi con giustizia e magnanimità e per questo gli abitanti dell’isola lo avevano soprannominato “Mohammed il Giusto”.

Sull’isola regnava la pace da molti secoli e gli abitanti dell’unica città, Astagatt, la capitale, vivevano in modo mite e semplice. Qui le occupazioni principali erano la pesca, la pastorizia e l’agricoltura mentre solo i più ricchi e benestanti potevano dedicarsi alle arti, allo sport e alla letteratura. Insomma, l’isola offriva tutto quello che un essere umano poteva desiderare.

Ad ogni modo non era facile raggiungere l’isola di Astagatt perché era circondata dalla cosiddetta “Barriera”; un enorme “muro d’acqua” alto più di trenta metri, frutto di chissà quale strano incantesimo.

Gli abitanti dell’isola si erano ormai abituati a quell’immenso spettacolo che, per tanti secoli, era riuscito a tenere lontano tutti gli indesiderati. Infatti, la “Barriera” poteva essere superata solo per pochi giorni all’anno e, senza una guida esperta, qualunque nave avrebbe fatto, inevitabilmente, naufragio.

L’isola di Astagatt


Astagatt, in tutto l’arcipelago, veniva considerata come un paradiso sulla terra. Le sue spiagge erano incontaminate, con sabbia bianchissima e finissima; i ruscelli e le piccole cascate d’acqua purissima scendevano dolcemente dai pendii delle colline e la vegetazione, ricca e rigogliosa, offriva una varietà sterminata di frutta esotica, gustosa e buonissima da mangiare.

Cosa si poteva desiderare di più?

Ma le cose belle hanno i loro lati oscuri ed anche Astagatt non ne era immune. Il centro dell’isola, da tempo immemore, incuteva enorme timore tra gli abitanti, proprio lì dove si ergeva maestosa l’unica grande montagna. Tutt’intorno c’era una fitta distesa di alberi secolari che anche la potente luce del sole, a stento, riusciva a penetrare con i suoi raggi. Dal suo strano nome, “La foresta degli inganni”, chiunque poteva intuire che era meglio starsene alla larga.

Un’antica leggenda raccontava che sulla cima di quella montagna, perennemente imbiancata dalla neve, in una grotta buia e fredda, viveva un pericoloso ed unico abitante, la vecchia e malvagia strega Luthien.

In realtà, nonostante il trascorrere dei secoli, fino a quel momento nessuno l’aveva mai vista personalmente ma sull’isola si continuavano a tramandare, di padre in figlio, delle orribili e raccapriccianti storie di cui era stata protagonista Luthien. Gli abitanti, in questo modo, cercavano di conservarne il ricordo anche per evitare che qualche sprovveduto, malauguratamente, potesse avvicinarsi troppo a quel luogo maledetto e cadere preda della vecchia strega.

Solo in un libro era riportata, dettagliatamente, la descrizione della malvagia Luthien, oltre all’elenco dei suoi poteri ed il modo per poterla uccidere.

Il suo nome era “Il Libro dei Ricordi”.

Naturalmente faceva parte della collezione privata dei sovrani e solo ai re e ai loro discendenti che, per secoli, si erano succeduti sul trono dell’Isola di Astagatt, era consentito leggerne il contenuto.

Il libro conteneva una sibillina profezia che recitava, pressappoco, così: “Un giorno non troppo lontano… da un re giusto e sincero… nascerà un giovane e coraggioso principe…. che riuscirà ad attraversare indenne la Foresta degli inganni. Lui sarà l’eletto perché troverà uno speciale e potente talismano… il Diaspro Rosso… che dovrà portare sempre con sé.… ma se questo non avverrà allora lui perirà… come un comune mortale.

Questo prezioso dono ho nascosto nel fondo degli abissi e solo una tragedia sfiorata permetterà… al re giusto e sincero… di ritrovarlo. L’eletto supererà indenne la foresta degli inganni… scalerà la montagna e raggiungerà il nascondiglio segreto di Luthien. Il Diaspro rosso lo guiderà e proteggerà da ogni inganno… ma se lui non la ucciderà… per altri mille anni il potere della strega sopravviverà”.

Da sempre la gente dell’isola fantasticava sugli enormi poteri della vecchia strega Luthien; soprattutto si temevano i suoi incantesimi con i quali riusciva ad attirare, all’interno della foresta degli inganni, tutti gli sprovveduti.

Più di una volta era capitato che qualcuno, spinto dalla curiosità, si fosse avventurato all’interno di quel luogo sinistro e non fosse più tornato indietro.

Questi disgraziati venivano persuasi, da una voce suadente e gentile, ad inoltrarsi sempre di più all’interno della foresta.

Vieni… vieni da me… non avere paura… qui troverai oro e argento in abbondanza”, ripeteva una cantilena incessante, “vieni… vieni da me… non avere paura… qui troverai l’elisir di lunga vita”.

Le parole della strega erano accompagnate dal suono di una musica irresistibile.

Per quei poveretti non c’era scampo. Senza nemmeno rendersene conto si ritrovavano, addormentati e appesi a testa in giù, nella dimora di Luthien, sulla cima della montagna.

Qui la strega, pazientemente, preparava i suoi disgustosi intrugli. Al centro della grotta vi era un enorme calderone di acqua bollente, pieno di strane spezie ed erbe magiche, di cui si serviva per preparare una succulenta zuppa di carne. Quando la cottura le sembrava giunta al punto giusto vi immergeva le sue vittime ancora vive, le bolliva lentamente e poi le divorava con tutta calma.

Con le ossa, avanzate dal prelibato pasto, si divertiva a fare degli strani amuleti. Quello era il suo passatempo preferito.

Dopo aver ucciso e mangiato la sua vittima di turno, la strega cadeva in un profondo letargo e, per un lungo periodo di tempo, sull’isola, non si sentiva più parlare di Luthien. Il suo risveglio anticipato poteva essere provocato solo da un imminente pericolo che lei, immediatamente, percepiva come minaccia alla sua stessa esistenza.

Ogni famiglia sull’isola aveva subito un lutto a causa della malvagia strega. Solo i re, le loro mogli e i loro discendenti, che si erano succeduti sul trono di Astagatt, sembravano immuni agli incantesimi di Luthien, come se una potente ed invisibile mano li proteggesse. In ogni caso, per non far correre rischi inutili alla popolazione, ogni re aveva sempre raccomandato a tutti di tenersi a debita distanza dalla “Foresta degli inganni” e dalla stessa montagna.

Anche i due principi Amir e Akhmed avevano sempre seguito il consiglio del padre. Non si erano mai avventurato verso il centro dell’isola e si erano limitati ad osservare quegli strani luoghi solo da molto lontano, preferibilmente a bordo della nave ammiraglia “Glorius”.

Per fortuna la popolazione era stata protetta, nei secoli, da colui che tutti, indistintamente, veneravano come un dio: il mago Sekmet.

Con i suoi poteri aveva sempre limitato, con successo, la furia cieca e distruttiva della strega. Senza il suo decisivo contributo adesso, sull’isola, non ci sarebbe stata più un’anima viva. Liuthien con il tempo, si era rassegnata a mangiare, di tanto in tanto, solo qualche abitante dell’isola ed a lasciare, molto raramente, la protezione della sua umida grotta.

Peraltro, il mago Sekmet, di cui nessuno conosceva le sembianze, era stato colui che aveva scritto l’antico “Libro dei ricordi”. Aveva profetizzato l’arrivo dell’eletto, il ritrovamento in mare del potente “Diaspro rosso” e la liberazione dell’isola dalla malvagità della strega Luthien.

Il Diaspro rosso era un potentissimo talismano che aveva realizzato lui stesso, ricavandolo dalla roccia di un meteorite arrivato da chissà quale pianeta del sistema solare e caduto sulla terra milioni di anni prima.

Sekmet vi aveva inciso sopra una speciale formula che l’eletto avrebbe dovuto pronunciare in presenza della strega. Solo la combinazione di questi tre elementi: il talismano rosso, la formula e l’eletto, avrebbe permesso di sconfiggere e uccidere Luthien.

La figura misteriosa del mago aveva acceso la fantasia degli abitanti dell’isola. Si raccontava che, tra i suoi enormi poteri, poteva trasformarsi in chiunque lui desiderasse. Poteva essere un piccolo bambino che giocava sulla spiaggia, una vecchina che tesseva la tela o un contadino che arava i campi. Ad Astagatt tutti avrebbe potuto incontrare il mago Sekmet ma nessuno sarebbe stato in grado di riconoscerlo. L’unico indizio che sembrava rivelare la sua presenza era un forte profumo di rose rosse appena colte dal giardino. Nulla di più.

In effetti, sull’isola c’era un solo abitante in grado di riconoscerlo sotto qualunque forma lui avesse deciso di trasformarsi: la strega Luthien. Anche per questo si teneva a debita distanza sia dal palazzo reale che dalla stessa città, tutti posti che il mago frequentava assiduamente ogni giorno. Gli unici due posti in cui poteva agire indisturbata e che considerava i suoi terreni di caccia erano la foresta e la montagna.

Capitolo secondo

AMIR & AKHMED

Il piccolo Amir era cresciuto libero e spensierato fino all’età di quindi anni e i suoi genitori, Mohammed e Adeela, fino al triste epilogo della loro scomparsa, avevano fatto in modo che il loro primogenito non fosse troppo angustiato dal rigido protocollo di corte e ricevesse un’educazione quanto più consona al suo carattere gentile e socievole.

 

Amir era continuamente “affamato di cultura” tanto che, quando non era soddisfatto del precettore di turno assegnatogli dal padre, con un pretesto qualsiasi si allontanava dalla sua stanza e, di nascosto, si intrufolava nella biblioteca reale dove sapeva di poter soddisfare la sua sete di conoscenza.

La biblioteca, tra tutti i nascondigli segreti, era il suo posto preferito. Qui poteva leggere, in tutta tranquillità, i suoi amati libri, soprattutto quelli che parlavano di storia. La sua curiosità, il desiderio di conoscenza, gli davano un’energia incredibile e, attraverso quei libri antichi, si immedesimava con gli eroi del passato.

Questo suo volare lontano con la fantasia, a volte, gli faceva perdere la cognizione del tempo e, qualche volta, arrivava in ritardo alla cena reale. Sua madre Adeela, molto più intransigente del marito in fatto di disciplina ed educazione, in queste occasioni era solita ripetere: “Caro marito… anche questa sera tuo figlio Amir è in ritardo!”.


I principi Amir e Akhmed


Spesso il re non era in grado neppure di replicare perché la consorte, immediatamente, riprendeva il suo tono accusatorio: “È sempre la stessa storia… questo ragazzo non cambierà mai… ma è tutta colpa tua… sei troppo buono con Amir. Gli lasci fare sempre tutto quello che desidera e poi… vedi… questi sono i risultati. Non capisce che così facendo manca di rispetto ai suoi genitori? Come potrà mai governare un regno… la nostra amata isola… se non incomincia ad assumersi le sue responsabilità?”.

“Nostro figlio… Adeela… nostro figlio… ricordati che non è solo mio figlio”, la interruppe gentilmente il re.

Forse dimentichi che lui ha esattamente il tuo carattere… è come te da giovane… ma con l’avanzare dell’età inizi a non ricordare… mia splendida regina…”.

Mohammed non finì di concludere la frase che un grande sorriso illuminò il rubicondo viso dell’amatissima moglie che scoppiò in una sonora e coinvolgente risata. Come al solito, il re era riuscito, con una semplice ma efficace battuta, a calmare gli animi.

“Stai tranquilla mio splendore… vado a cercarlo personalmente… sono sicuro che lo troverò nascosto in uno dei suoi posti segreti!”.

“Oh… bene… adesso mi abbandoni anche tu… questa cena sta diventando una tipica serata da famiglia di Astagatt”, lo riprese Adeela, alzando lo sguardo verso il soffitto.

Su amore mio… non essere arrabbiata!! Farò prestissimo. Prometto. Vedrai che… tra pochi minuti… io e tuo figlio Amir faremo ritorno da te e… tutti insieme… consumeremo questa splendida cena”.

Mohammed si considerava un padre orgoglioso e premuroso.

Quando gli impegni del reame glielo consentivano si fermava a parlare con Amir e, insieme, discutevano ogni cosa, di qualunque argomento.

Amir non era l’unico figlio della coppia reale. Infatti, il principe ereditario aveva un fratello minore, più piccolo di circa due anni, al quale avevano dato il nome di Akhmed, in onore del nonno materno che, alla veneranda età di 84 anni ancora governava, con piglio giovanile ma autoritario, la vicina isola di Cora.

Akhmed, fin dai primi vagiti, dimostrò di avere un carattere forte e determinato. Al momento dell’allattamento agitava vorticosamente le piccole manine e i piedini, in segno di ribellione e respingeva perentoriamente, con calci e pugni, tutte le nutrici che gli si avvicinavano. Desiderava bere il latte solo dal seno della madre, la regina Adeela, che amorevolmente si dedicava alle cure del figlioletto, coccolandolo dolcemente finché non lo vedeva addormentato con un sorriso di soddisfazione stampato sul suo viso già paffutello.

I due fratelli crebbero rapidamente ma con caratteri completamente diversi l’uno dall’altro. Così dolce, gentile e premuroso Amir, tanto più arrogante, chiuso ed introverso Akhmed.

Anche nell’aspetto i due principini erano moto diversi.

Il più grande dei fratelli era longilineo e già alto per quelli della sua stessa età. Aveva un bel visino sul quale spiccavano due bellissimi occhi azzurri e una tumultuosa capigliatura di splendidi ricci neri. Akhmed, invece, cresceva grassottello, con le lentiggini, il naso grosso e i capelli rossi. Inoltre, per distinguersi dal fratello più grande al quale non desiderava affatto assomigliare, si faceva appositamente tagliare i capelli cortissimi dal barbiere di corte, con vivo disappunto dei suoi genitori.

Solo un particolare fisico sembrava accumunare i due fratelli: il colore dei loro occhi. Erano di un grigio-azzurro intenso, cosa che li distingueva da tutti gli altri bimbi dell’isola di Astagatt.

Akhmed, al contrario di Amir, non aveva nessuna passione per l’arte o la cultura in generale. La sua unica occupazione, durante l’infanzia e parte della sua giovinezza, era stata quella di giocare con i soldatini di legno, ad altezza naturale, fatti realizzati dal sovrano, appositamente per lui, dai migliori artigiani dell’isola.

Raramente si poteva notare Akhmed leggere qualche libro, se non quelli che parlavano di navi, di battaglie o di avventurose attraversate degli oceani. Il mare e la navigazione erano le uniche due passioni che univano i fratelli, ma per tutto il resto erano completamente agli opposti, come l’acqua con il fuoco.

In diverse occasioni aveva apertamente manifestato la sua gelosia per il fratello maggiore, che detestava, a suo dire, anche per i suoi modi sempre troppo cortesi e gentili verso i sudditi del regno e il personale di servizio.

Per Akhmed, invece, bisognava mantenere le debite distanze dal popolo e governare con il metodo “del bastone e della carota”.

A volte, a causa del suo cattivo comportamento verso la servitù di corte, veniva punito dal re e confinato nella sua stanza.

In quelle occasioni era solito ripetere a voce alta: “Un giorno tutto questo cambierà. Io sono un principe e nessuno può dirmi cosa devo fare e cosa devo dire. Prima o poi ucciderò quell’imbecille di mio fratello Amir e tutti dovranno temere la mia ira. Mi ricorderò di tutti quelli che oggi mi procurano dolore e… quando sarò sul trono di Cora… la mia vendetta sarà implacabile”.

La regina Adeela, benché restasse colpita dal feroce odio provato dal figlio minore nei confronti del fratello, non ne stigmatizzava le parole. Anzi, accarezzandogli la testa rasata cercava, con pazienza e dolci parole, di riportarlo alla calma. Gli sussurrava che, un giorno non lontano, sarebbe diventato il potente sultano dell’isola di Cora.

Era quello il suo destino, già scritto nelle stelle, unico discendente maschio designato a succedere a suo nonno Akhmed Al Kebir, che regnava con il nome di Modaffer III.

Amir, che amava il fratello più piccolo e gli perdonava tutte le provocazioni e gli scherzi stupidi che era costretto a subire, solo in un’occasione perse il suo proverbiale autocontrollo e si arrabbiò moltissimo con Akhmed. Ciò avvenne quando gli rubò la preziosa e amatissima collezione di vecchi libri di storia e trascorse un’intera settimana prima che si decidesse a restituirgliela.

Fu solo grazie all’intervento, duro e deciso, della regina Adeela, che la questione tra i fratelli fu risolta senza indugio.

Amir, alla consegna dei suoi preziosi libri di storia, riacquistò immediatamente la calma ed il sorriso. Porse amichevolmente la mano verso il fratello, in segno di pace, invitandolo a trascorrere con lui un’intera giornata in cui avrebbero solo pensato a giocare ai soldatini.

Ma Akhmed rifiutò sdegnosamente l’offerta e fuggì, arrabbiatissimo, nella sua stanza, tra le lacrime, meditando eterna vendetta.

Capitolo terzo

IL VENTO DELL’EST

Akhmed, un brutto giorno, ebbe un grave incidente in mare.

Una volta all’anno, in occasione dell’arrivo del vento dell’est, i due fratelli amavano sfidarsi gareggiando su piccole imbarcazioni a vela. Nonostante la giovane età entrambi erano dei marinai provetti.

I loro erano dei veri e propri duelli, ma senza ricorrere all’uso delle spade.

Akhmed era più audace e coraggioso del fratello, ma Amir lo precedeva sempre sul traguardo, inesorabilmente. Grazie agli insegnamenti del capitano di vascello Abdul-Lateef, Amir era, praticamente, imbattibile in questo tipo di gare.

Re Mohammed, prima della partenza, era solito raccomandare energicamente entrambi i suoi figli con queste parole: “Cari ragazzi… oggi gareggerete uno contro l’altro… un po’ di sana competizione non guasta mai e serve a fortificare i vostri caratteri… ma evitate di correre rischi inutili. In caso di pericolo invertite immediatamente la rotta e rifugiatevi… al sicuro… nel porto di Astagatt.

Qui troverete ad attendervi il capitano di vascello Abdul-Lateef che avrà il compito di sorvegliarvi e assistervi e… in caso di necessità… di scortarvi fino al palazzo reale. È tutto chiaro?”.

“Si padre!”, rispondevano all’unisono i ragazzi mentre stringevano la mano al loro genitore.

Come ogni anno tutti aspettavano l’arrivo del vento dell’est che avrebbe permesso alle imbarcazioni, grandi e piccole, di potersi spingere facilmente al largo e attraversare, senza rischi e pericoli, la “Grande Barriera d’acqua”.

Questo era il periodo dell’anno chiamato “Estate dell’Isola di Cora” e durava, esattamente, 15 giorni.

Una piccola finestra temporale permetteva ai sovrani delle due isole più grandi dell’arcipelago, Astagatt e Cora, d’incontrarsi e trascorrere un periodo di vacanza insieme, con le rispettive famiglie. Durante il resto dell’anno l’Isola di Astagatt restava, praticamente, isolata dal resto del mondo.

Con l’arrivo del vento dell’est e pochi giorni prima della partenza della “Grande Flotta Reale”, i due fratelli, Amir e Akhmed, si sfidavano nella tradizionale gara di vela intorno all’isola di Astagatt. Avrebbe vinto chi, per primo, avesse circumnavigato l’isola e raggiunto il porto.

Per i due contendenti la posta in palio era molto alta.

Il perdente avrebbe subito l’onta, per un anno intero, di essere preso in giro dal fratello vincitore, ogni qualvolta ne avesse avuto voglia e senza protestare. Questo poteva avvenire in qualunque occasione: davanti alla corte reale e alla servitù, oppure a dei semplici cittadini.

Il perdente non poteva fare altro che accettare tutto con sportività. Amir, benché avesse vinto ogni regata disputata fino a quel momento, non approfittò mai dell’ambito “premio” e non sbeffeggiò mai in giro l’amato fratello. Anzi, dopo la fine di ogni gara lo incitava a fare meglio e lo consigliava a non arrendersi. In effetti, nonostante le sconfitte, Akhmed possedeva un grande talento per la navigazione.

Amir, il giorno della gara, avvertì uno strano presentimento e, poco prima della partenza, si rivolse al fratello con tono preoccupato: “Akhmed… non senti anche tu qualcosa di strano nell’aria? Il vento… questo vento… non è il solito vento dell’est… forse dovremmo rimandare la gara al prossimo anno. Ho la sensazione che qualcosa di grave stia per accadere”.

Akhmed, che più di ogni altra cosa al mondo desiderava vincere quella regata, per la quale si era allenato intensamente tutto l’anno, interpretò le parole del fratello come una mancanza di coraggio, il timore di perdere la sfida.

“Amir… non dire sciocchezze”, rispose con tono sarcastico, “questo è il solito vento dell’est… non sento nulla di strano… o forse sì… il mio presentimento dice che… che tu sei un cacasotto e questa volta sono sicuro di batterti! Quindi… finiscila di lamentarti e iniziamo la gara”.

Ormai Amir non poteva più tirarsi indietro né rivolgersi direttamente al padre Mohammed per far sospendere la gara.

Il re, nel frattempo, si era già allontanato dal porto per dirigersi al castello reale per il disbrigo delle ultime incombenze burocratiche e amministrative, prima di ordinare, alla flotta reale, la partenza per l’isola di Cora.

Quando le barche dei due fratelli furono perfettamente allineate, la nave ammiraglia “Glorius” sparò il colpo di cannone a salve che decretò l’avvio della gara.

All’inizio tutto sembrò procedere per il meglio e il vento, benché molto forte, non costituì un particolare problema per i due concorrenti. Amir, come al solito, fin dalla partenza era in testa e, di tanto in tanto, provava a voltarsi indietro nel tentativo di individuare la posizione della barca del suo astuto fratello e, così, prevenirne ogni mossa.

 

Giunto fuori dal porto si affrettò a dirigersi verso quel tratto di mare aperto che conosceva come “il punto di equilibrio”, il posto ideale per sfruttare tutta la potenza del vento dell’est. Grazie a questo prezioso consiglio del capitano di vascello Abdul-Lateef era sempre riuscito a battere il fratello.

Arrivato in mare aperto Amir si accorse, con grande preoccupazione, che il vento dell’est stava cambiando intensità e direzione.

Non solo, ma adesso anche il cielo si era improvvisamente oscurato e la bellissima giornata di sole si era trasformata in pioggia torrenziale. Sembrava che un vero diluvio stesse per abbattersi sulle due piccole imbarcazioni. Anche il mare, inizialmente poco mosso, si stava trasformando rapidamente in un mostro selvaggio, con onde altissime che si stagliavano all’orizzonte, ai limiti della Grande barriera d’acqua.

Per Amir le condizioni del mare erano diventate troppo rischiose per continuare la regata e, in cuor suo, adesso sentiva di aver avuto ragione a voler annullare la gara. Seguendo le istruzioni ricevute dal padre prima della partenza, invertì la rotta e si diresse velocemente verso la sicurezza del porto. Tornando indietro incrociò la rotta del fratello che lo stava seguendo ormai da molto vicino.

Akhmed…. la gara è finita… dobbiamo immediatamente tornare indietro… verso il porto”, urlò con tutta la forza che aveva in gola, temendo che le sue parole venissero spazzate via dal rumore del vento. Ma, con suo enorme stupore, si accorse che Akhmed non aveva nessuna intenzione di seguirlo verso il porto. In un attimo lo vide allontanarsi nella direzione opposta e, in tutto quel trambusto, riuscì solo a distinguere poche e confuse parole urlate dal fratello: “Sei il solito fifone… cacasotto…”.

Altro non riuscì a capire a causa del forte ondeggiare del mare e per il vento, ormai, fortissimo.

Nel frattempo anche il capitano di vascello Abdul-Lateef si era reso conto del pericolo imminente che incombeva sui due principini e ordinò, all’equipaggio della veloce nave Neptune, di salpare immediatamente per il mare aperto.

Il capitano, con il trascorrere dei minuti, diventava sempre più inquieto, quasi terrorizzato, per quello che stava accadendo sotto i suoi occhi. Era ben consapevole che, in caso di tragedia, sarebbe stato il perfetto capro espiatorio per il re e la regina.

Ben presto la barca di Akhmed si trovò in gravissima difficoltà e, in balia delle onde e del vento, si allontanava sempre più velocemente dalla costa verso la Grande barriera d’acqua.

Amir si rese subito conto del grave pericolo in cui si trovava il fratello e, dopo aver fatto mentalmente dei rapidissimi calcoli nautici capì, sconfortato, che la Neptune non sarebbe giunta in tempo a salvare Akhmed. Per ogni minuto che passava aumentavano le probabilità di un imminente naufragio.

Senza perdere altro tempo invertì nuovamente la rotta e diresse la prua della sua piccola barca in direzione di quella del fratello.

Ora i principini in pericolo erano diventati due e, per il capitano di vascello Abdul-Lateef, si profilava un vero e proprio incubo in caso di disgrazia. Il poverino già si vedeva degradato e fucilato alla schiena per ignominia, legato come un salame sull’albero maestro della nave ammiraglia Glorius.

Amir cercò di raggiungere velocemente il fratello ma, quando fu vicino, non potette fare altro che osservare la povera barchetta di Akhmed capovolgersi ripetutamente, più e più volte, come se un’oscura mano la stringesse con forza e senza la minima intenzione di lasciarla.

Disperato, Amir cominciò ad urlare il nome di Akhmed mentre, con manovre sempre più spericolate, cercava di domare quelle altissime onde del mare, nel difficile tentativo di tenere a galla la sua piccola barca ed evitare di fare la fine del fratello.


Il naufragio dei fratelli Amir e Akhmed


Com’era prevedibile, il suo timone cedette all’improvviso a causa dello sforzo estremo a cui era stato sottoposto ed anche la vela si squarciò in più parti, risucchiata verso l’alto in un vortice fortissimo.

Adesso anche Amir era nei guai e non poteva fare altro che sperare in un miracolo che li salvasse entrambi.

Un’improvvisa e potente folata di vento gelido lo fece sobbalzare dalla sua fragile barchetta mentre un’onda alta più di due metri lo investì di lato. La combinazione di queste due forze estreme rovesciò definitivamente la barca e anche Amir fu sbalzato, violentemente, in acqua.

Il principe, con estrema prontezza, fece in tempo ad aggrapparsi ad uno dei tanti relitti che, ormai, disseminavano l’intera area di mare dov’erano avvenuti i due naufragi. Con sua grande sorpresa si accorse che tra quei resti c’erano anche quelli della barca di Akhmed, facilmente identificabili perché tutti dipinti con un vivace colore rosso.

Senza alcuna esitazione s’immerse immediatamente nel disperato tentativo di trovare e salvare il fratello dalle profondità del mare. Amir, nonostante avesse da poco compiuto vent’anni, aveva ancora un aspetto filiforme e, all’apparenza, non sembrava un ragazzo sano e forte. In quella occasione lo aiutarono la sua notevole esperienza nelle immersioni in mare aperto e il fatto che, nel punto del naufragio, il fondale non fosse particolarmente profondo.

Dopo alcuni tentativi infruttuosi riuscì ad individuare la massiccia figura del fratello che, adagiato sul fondo del mare, sembrava apparentemente senza vita.

Con preoccupazione sempre più crescente gli afferrò subito le spalle e provò a riportarlo in superficie nel minor tempo possibile. Durante la difficile risalita la sua attenzione fu attratta da uno strano luccichio. Gli sembrò di intravvedere, a pochi metri di distanza e semi sepolto nella sabbia, un oggetto di metallo di colore rosso intenso, ma non ebbe il tempo per afferrarlo e portarlo via con sé.

La vita di Akhmed era in pericolo e non c’era altro tempo da perdere. Promise a sé stesso che, un giorno, sarebbe ritornato per recuperare quello strano oggetto.

Miracolosamente, entrambi i fratelli riuscirono a risalire in superficie e quando Amir girò lo sguardo in direzione del lontano porto di Astagatt vide l’enorme sagoma del vascello Neptune che, a tutta velocità, stava sopraggiungendo sul luogo del naufragio. In un attimo i marinai più coraggiosi si tuffarono in mare e, con l’aiuto di alcune corde e di una scala, riuscirono a riportare a bordo i due fratelli.

Il medico si occupò immediatamente di Akhmed, le cui condizioni sembravano assolutamente disperate, considerato che era rimasto a lungo sott’acqua, senza ossigeno.

Praticò la respirazione bocca a bocca ed il massaggio cardiaco per diversi minuti, apparentemente senza ottenere alcun risultato concreto. Amir lo abbracciò forte come se fosse stata l’ultima volta e, commosso per la tragica perdita, gli sussurrò all’orecchio: “È colpa mia… è colpa mia fratello… perdonami”.

Colpito dall’attaccamento e dall’amore fraterno del principe, il dottore volle fare un ultimo ed estremo tentativo. Lo girò delicatamente su di un lato e lo colpì ripetutamente alla schiena, all’altezza dei polmoni, con dei poderosi schiaffi.

Akhmed, come se fosse stato morso da una tarantola, iniziò a dimenarsi convulsamente e cominciò a sputare acqua di mare, così tanta da poterne riempire un secchio intero. Amir, immobile, strabuzzò gli occhi e fissò quell’incredibile scena. Come per magia il suo amato fratellino era ritornato dall’aldilà e, senza alcuna vergogna, scoppiò in un pianto liberatorio.

Ben presto la gioia s’impossesso dell’intero equipaggio che si lasciò andare in canti e balli frenetici.

Il capitano di vascello Abdul-Lateef, di solito sempre impeccabile nella sua uniforme bianca, si unì alla ciurma ed iniziò a danzare e abbracciare chiunque gli capitasse vicino. Era ben consapevole di aver evitato una sicura fucilazione. Adesso, probabilmente, lo attendevano una promozione, con relativa medaglia, e un consistente premio in denaro.

Ma le sorprese della giornata non erano ancora finite.

La poderosa ed imprevista tempesta, così com’era iniziata, cessò improvvisamente. Il cielo si rasserenò rapidamente e tornò a splendere un bellissimo e caldo sole. Nel frattempo, anche il mare si era calmato ed era tornato a soffiare il vento dell’est, con la sua tipica e leggera brezza estiva.

Sulla nave tutti, istintivamente, rivolsero lo sguardo verso il centro dell’isola, in direzione della cima della montagna. Qualcuno, a bassa voce, iniziò a sussurrare: “Questa è opera della malefica strega Luthien… spero che qualche coraggioso… prima o poi… riuscirà ad ucciderla”.